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Categoria 9 Identità e memorie 9 Domenico Pecile, figura illustre dell’Ottocento friulano

Domenico Pecile, figura illustre dell’Ottocento friulano

Domenico Pecile, figura illustre dell’Ottocento friulano

Fra le figure più brillanti del Friuli dell’Ottocento, è stato pioniere dello sviluppo moderno nell’agricoltura, nel credito rurale e nella cooperazione e importante amministratore pubblico.

di MARIO SALVALAGGIO

Ho iniziato a conoscere Domenico Pecile sessant’anni fa, nell’ottobre del 1958, mio primo giorno di scuola all’Avviamento Professionale Agrario di Codroipo, scuola dedicata all’illustre personaggio. Tale conoscenza è continuata poi – e anzi è stata approfondita – seguendo gli studi presso la Scuola Agraria di Pozzuolo e l’Istituto Tecnico Agrario di Cividale, dove riemergeva continuamente il suo ruolo di fautore e protagonista dello sviluppo agrario in regione. Nel quadro della sua opera non poteva certo mancare il suo apporto essenziale allo sviluppo della cooperazione agricola in Friuli, aspetto che ho analizzato quando ho preparato la mia tesi di laurea, che verteva proprio su questo argomento.

Il mio percorso professionale presso la Federazione delle Casse Rurali ed Artigiane mi ha permesso poi di approfondire la conoscenza delle origini della Cooperazione di Credito in Friuli e dei personaggi che ne furono i protagonisti. Fra questi ci fu Leone Wollenborg, che Domenico Pecile volle quale testimone alla costituzione alla Cassa Rurale di Prestiti di San Giorgio della Richinvelda. Proprio qui, in questo istituto che ho avuto l’onore di dirigere per qualche anno a partire dal 1992, ho avuto modo di apprezzare l’opera che il Pecile ha svolto in questo territorio, senza dimenticare il resto del Friuli.

Domenico Pecile nacque a Udine nel 1852, secondo dei tre figli di Gabriele Luigi Pecile e di Caterina Rubini, un figlio d’arte, dunque, che secondo l’uso del tempo e di quello famigliare ricevette la prima istruzione in casa, da un precettore ecclesiastico. Frequentò poi il Ginnasio e l’Istituto Tecnico a Udine. Le sue doti e le sue capacità non passarono inosservate se il direttore dell’Istituto, professor Coss, lo volle con sé quando si trasferì a Torino. Qui il Pecile si laureò in chimica per trasferirsi poi a Portici, sempre al seguito del suo professore, che lì aveva fondato la Scuola Superiore di Agraria.

L’esperienza e i suggerimenti del padre, che era ben conscio dell’arretratezza dell’agricoltura friulana, lo avevano indirizzato verso questi studi. Proprio per comprendere gli sviluppi che in Germania erano stati fatti in questo settore, nel 1876 si trasferì a Monaco di Baviera, dove lavorò, come assistente del prof. Lehmann, alla Stazione di Chimica Agraria e approfondì i suoi studi, presso quella Università e in quella di Heidemberg, in un primigenio dottorato di ricerca.

Domenico Pecile

DOMENICO PECILE. Foto storica.

Completati gli studi ritornò in Italia e ottenne l’incarico di insegnamento di chimica agraria presso l’istituto Tecnico di Catania. A causa di un problema di salute rientrò però quasi subito in Friuli, per non allontanarsene più, se non per brevi viaggi di studio o per qualche escursione in montagna quale socio del CAI. Questi viaggi contribuirono a tenerlo sempre aggiornato sui progressi realizzati nei vari paesi sia nel campo chimico, agrario, zootecnico, di cooperazione agraria. Ciò lo aiutò a subentrare al padre, che iniziava la sua carriera politica, nell’amministrazione dei beni di famiglia.

Mentre la proprietà di Fagagna prosperava per la qualità dei terreni e per le iniziative già intraprese dal padre, la realtà dell’azienda di San Giorgio della Richinvelda era ben diversa e Domenico da subito vi dedicò la maggior parte del suo tempo, scegliendola anche come residenza. Questa tenuta era costituita prevalentemente da terreni argilloso-calcarei, di natura alluvionale e veniva coltivata con metodi obsoleti, senza adeguati sistemi di irrigazione e concimazione, da contadini poveri, afflitti costantemente dalla pellagra; la coltura promiscua della vite maritata e dei cereali predominava sui seminativi; l’affitto misto friulano era la regola imperante.

Domenico Pecile incise profondamente in questa realtà produttiva; con una visione lungimirante modificò i rapporti con mezzadri ed affittuari, mettendo al centro del suo operare il pensiero che il miglioramento delle condizioni dei lavoratori agricoli non poteva che avvenire parallelamente a quello della possidenza. Illustrò il suo pensiero in molti scritti e dalla loro lettura appare chiaramente la sua scelta pragmatica di operare lo svecchiamento dell’agricoltura friulana adottando la via dei cavouriani “miglioramenti in dettaglio”, di più facile e concreta attuazione.

Le sue prime note agrarie sull’azienda di San Giorgio, frutto delle sue esperienze e dei suoi studi risalgono al 1883; seguirono poi frequenti articoli pubblicati nel Bullettino dell’Associazione Agraria Friulana, riguardanti le coltivazioni sperimentali, le selezioni nonché interventi su argomenti zootecnici e sull’insilaggio. La poliedrica personalità del Pecile, lo portò ben presto a nuovi impegni in organizzazioni e manifestazioni, incominciando dalla Commissione ordinatrice della mostra d’animali bovini del 1878 a Udine e poi alla presidenza del Comizio Agrario di Spilimbergo e Maniago; nel 1882 divenne membro dell’Associazione Agraria Friulana. Dal 1888 al 1904 fu anche Sindaco di San Giorgio, carica che gli permise migliorare, con ogni mezzo, le condizioni economiche del territorio, soprattutto promuovendo la costituzione di una Cassa Rurale di Prestiti.

Villa Pecile

VILLA PECILE. La villa Pecile ha rappresentato per più di un secolo il centro nodale del borgo di San Giorgio della Richinvelda. La costruzione va attribuita alla famiglia Leoni, che risiedeva a Venezia già dal XVI secolo. Nel 1841, con la morte dell’ultimo rappresentante, la famiglia si estinse e nel 1851 l’intera proprietà venne acquisita da Gabriele Luigi Pecile, che affidò il compito della gestione dell’azienda, che faceva capo alla villa, al figlio Domenico. Qui sotto, la cappella costruita nel 1732.

La cappella

In questo era stato facilitato dalla conoscenza diretta del mondo tedesco, nel quale il pastore Raiffeisen le aveva concepite ed avviate, nonché la frequentazione e la condivisione del pensiero del Wollemborg, fin dal 1885 propugnatore del Credito Cooperativo nell’ambito delle azioni svolte dall’Associazione Agraria Friulana. Il Pecile, con acume, intravedeva nel credito rurale la soluzione più adatta per realizzare le migliorie fondiarie e modernizzare i sistemi di coltivazione.

L’atto costitutivo del 1891 evidenzia gli aspetti fondamentale del nuovo Istituto di Credito, fondamenta del suo essere cooperativa e banca nello stesso tempo. Il 29 novembre del 1891, presenti 24 soci fondatori e come fatto cenno, testimoni fidefacienti, lo stesso Wollemborg e il cappellano don Pasquin, il notaio Carlo Marzona di Valvasone rogò l’atto costitu tivo. I loro nomi figurano in calce all’atto notarile e anche sulla lapide commemorativa all’interno della sede della Cassa Rurale.

Se anziché assumere la responsabilità illimitata e solidale delle obbligazioni sociali, avessero sottoscritto delle azioni come era certamente nelle loro possibilità, avrebbero potuto costituire una banca popolare. Ma il Pecile aveva idee ben chiare a questo proposito, non voleva una banca popolare camuffata ma, come egli ben sapeva, erano le classi superiori a dover avviare processi di elevazione delle classi inferiori. Ciò rappresentò una grande fortuna per la gente del comune di San Giorgio. Domenico Pecile, con voto unanime, venne chiamato alla presidenza; carica che ricoprì fino alla morte.

Il Pecile sapeva attorniarsi di persone di estrema fiducia, capaci e di grande preparazione; volle così al suo fianco, quale segretario/ragioniere della neo costituita Cassa, una figura che parimenti a lui fece la storia della cooperazione sangiorgina: Luchino Luchini; questi ne divenne il protagonista e occupò questo fondamentale ruolo fino alla sua morte nel 1924. La cooperativa di credito sotto la guida del Pecile e del Luchini decollò immediatamente, un anno dopo i soci erano 74, cinque anni dopo 177, prestiti quintuplicati e i depositi nel 1896 superavano i prestiti.

Cartolina postale del 1908
Cartolina postale del 1908

INCARICHI. Cartolina postale del 1908, dalla quale si evincono importanti notizie: il ruolo del Direttore della Cassa Rurale, Luchino Luchini, braccio operativo del comm. Domenico Pecile, Presidente della stessa, e lo stretto contatto con la Società Agraria Friulana – Pecile Presidente – la benemerita Cattedra Ambulante e la neo costituita Latteria Sociale di San Giorgio.

Già dopo pochi mesi l’istituto creò il Comitato per l’acquisto di materie utili per l’agricoltura, con contabilità separata. Aveva l’intento di procurare ai soci concimi buoni e a buon mercato, attrezzi, antiparassitari (concentrazione della domanda), accordando nel contempo agli acquirenti crediti a miti condizioni. La Cassa Rurale acquisiva il materiale e lo distribuiva ai soci, che potevano pagarlo per cassa o con cambiali scadenti dopo il raccolto.

L’iniziativa ha un grande successo e rimane tale fino al 1957, quando la nuova legge bancaria impone alle Casse Rurali di non occuparsi più di questo tipo di attività, scindendole da quelle creditizie. Nasce così, come dalla costola di Adamo, il Circolo Agrario Cooperativo, che per lunghi anni è attivo a fianco della Cassa e i cui organi si riuniscono contestualmente a quelli della Rurale, con assemblea nello stesso luogo e giorno. Questa “creatura “della Cassa Rurale sangiorgina, ancor oggi viva è vegeta, è diventata la più grande cooperativa di servizi del Friuli Venezia Giulia, il Circolo Agrario Friulano.

Sotto la guida del Pecile e del Luchini la Cassa, fin da subito, diventa propositrice, partecipe, sostenitrice di tutta una serie di iniziative che negli anni caratterizzeranno al meglio la sua attività a favore del territorio con risultati efficaci, brillantissimi. Per citarne solo alcune: organizzazione di conferenze agrarie, bandi di concorso per coltivazioni sperimentali, fondazione di Latteria Turnaria, ghiacciaia, forno sociale, scuola di cestai, cucina economica, casa di riposo, fornace di laterizi, corso di economia domestica.
Ma non basta. Si fa promotrice di una stazione di monta taurina di razza Simmenthal e della costituzione di un consorzio fra gli allevatori di bovini della zona.

Anche in questo contesto il Pecile pubblicò vari studi sui sindacati di allevamento, sulle associazioni di allevatori, sui mercati dei bovini e sull’importanza dei libri genealogici; insisteva sulla necessità di una educazione zootecnica basata su rilievi quotidiani compiuti nelle stalle, su pratiche di allevamento razionale, sulla diffusione di buone norme per la produzione di animali migliorati, estendendo la conoscenza tecnica con una forma collettiva di produzione.

Camilla Pecile-Kechler.

FAMILIARI. La moglie Camilla Pecile-Kechler e il figlio Paolo Pecile.

Paolo Pecile

Nel 1895 la Cassa Rurale di Prestiti riceve dal Ministero dell’agricoltura la medaglia d’argento quale miglior istituzione agraria cooperativa. È doveroso a questo punto ricordare la figura della moglie Camilla Pecile-Kechler, che aveva sposato nel 1887. Era figlia di Carlo, creatore dell’industria serica in Friuli, fondatore del Cotonificio Udinese e promotore del Consorzio Ledra-Tagliamento. Gli fu compagna impareggiabile, segretaria e collaboratrice intelligente, portatrice di alta spiritualità francescana, per quarant’anni presidente della Congregazione di Carità di San Giorgio della Richinvelda. Fu ispiratrice di tante istituzioni e attività che affiancavano quelle del marito.

Nel 1898 Domenico Pecile fu chiamato a ricoprire la prestigiosa carica di Presidente dell’Associazione Agraria Friulana. Accettando tale incarico, che poi mantenne per tutta la vita, egli sapeva di avere nelle sue mani lo strumento per realizzare quel miglioramento quel progresso dell’agricoltura friulana, al quale aveva teso fin da giovane. Questo progetto gli riuscì pienamente. Nel 1902 Domenico Pecile venne nominato vicepresidente del Consiglio Provinciale di Udine, di cui era membro dal 1898.

La collaborazione fra l’Associazione Agraria e la Deputazione Provinciale divenne da allora ancor più stretta: nella lotta contro la filossera; nell’istituzione delle cattedre ambulanti per l’insegnamento agrario; nell’opera di miglioramento del patrimonio zootecnico; nell’incremento al rimboschimento curato da Comitato Forestale, di cui Pecile fu presidente dal 1903 al 1905; nel miglioramento delle malghe e in varie altre attività.

Dall’Associazione Agraria nacque, con il suo appoggio, la Commissione per la Cooperazione Agricola, lo Zuccherificio di San Vito al Tagliamento e la Fabbrica Perfosfati di Portogruaro, che iniziò la propria attività nel 1900 e di cui il Pecile fu Presidente fino alla morte. Nel 1904 fu chiamato a ricoprire, come il padre, il prestigioso incarico di Sindaco di Udine. Anche qui si distinse per l’attenzione e l’opera a favore delle classi più povere, con la realizzazione di “abitazioni minime”, con la creazione di strutture sanitarie per i ceti meno abbienti e gli incentivi all’istruzione popolare.

La Fabbrica Perfosfati di Portogruaro

FABBRICA. Immagine d’epoca della Fabbrica Perfosfati di Portogruaro, che iniziò la propria attività nel 1900 e di cui Domenico Pecile fu Presidente fino alla morte.

Dotò la città di un Forno municipale, avviò quindi l’Ufficio gratuito pubblico di collocamento, costruì nuove scuole, nazionalizzò il collegio femminile “Uccellis”, costruì e ingrandì gli Asili (quello di via Manzoni fu intitolato a G.L. Pecile). Restaurò il Castello e sistemò in esso il Museo Civico e la Galleria Marangoni, costruì il nuovo palazzo degli uffici comunali, incaricò un brillante professionista per la redazione del piano regolatore, che prevedeva una radicale trasformazione della città e l’ampliamento dell’area urbana.

Durante il periodo bellico, prima a Bologna, poi a Firenze con la nomina a Commissario Prefettizio, si distinse per le azioni svolte a favore dei profughi, sempre sostenuto dalla moglie Signora Camilla; al ritorno a Udine, fra i primissimi, riprese in mano le redini della città e operò per i bisogni immediati e per la ricostruzione.

Quando d’estate si trasferiva con la famiglia nella sua cara San Giorgio, per immergersi pienamente nel suo mondo agricolo, veniva quasi ogni giorno a Udine, incurante del disagio che gli procurava il tragitto compiuto in “biroccino” fino a Casarsa e poi in treno in città, pur di non interrompere il lavoro. Ma San Giorgio lo ricompensava di tante fatiche. L’attività profusa aveva permesso di realizzare grandi progressi nell’agricoltura e anche una cantina completa. Erano stati introdotti vitigni nuovi, quali il Merlot e il Cabernet, che avevano dato alla viticoltura dell’azienda un primato in tutta la regione, pari a quello già ottenuto per la gelsi-bachicoltura. Il tutto costituiva un sistema di organizzazione così ben equilibrato nelle sue varie parti, che l’azienda di San Giorgio fu per molti anni considerata come una azienda modello di tutto il Friuli.

Il forno sociale cooperativo

PROGETTI. L’ilustrazione con pianta e prospetti della latteria sociale, sopra, e del forno sociale cooperativo, sotto.

La latteria sociale

Nel 1920, mentre stava intraprendendo con la tradizionale capacità e determinazione l’opera di ricostruzione tanto in città quanto in paese, fu colpito drammaticamente dalla perdita dell’unico figlio, spentosi per malattia alla vigilia della laurea in ingegneria a Padova. Questo fu per Domenico Pecile un colpo fatale; lasciò il Comune dopo 16 anni di ininterrotta reggenza, continuando peraltro a occuparsi degli altri incarichi. Ma aveva il cuore spezzato e morì, dopo breve malattia, il 27 maggio del 1924.

Funerali solenni e discorsi celebrativi riconobbero in Lui l’uomo che aveva, con rara capacità e risultati, dedicato tutto se stesso, all’agricoltura friulana, al bene comune, alla famiglia. L’intera Comunità civile di San Giorgio della Richinvelda e dei territori circonvicini, l’intero mondo della grande realtà cooperativa sangiorgina hanno ancor oggi un grande debito di riconoscenza nei confronti di Domenico Pecile.

Tutti onoriamone perpetuamente la memoria.

Bibliografia e fonti
Archivio storico della Banca di Credito Cooperativo FriulOvest.
Paola Ferraris, Domenico Pecile. Modernizzazione agricola e cooperazione rurale in Friuli fra Otto e Novecento, Udine, La Nuova Base Editrice, 1996.
Lucia Tranquilli – Domenico Feruglio – F. Borgomanero, Memoria su Gabriele Luigi e Domenico Pecile, Udine, Grafiche Chiesa, 1968.
Luigi Luchini, Memorie storiche e cronache recenti: San Giorgio della Richinvelda e frazioni del Comune, Portogruaro, Tipografia Castion, 1968.
Gianfranco Ellero, La Cassa Rurale di San Giorgio della Richinvelda al compimento del suo primo secolo di vita, San Giorgio della Richinvelda. Arti Grafiche Friulane, 1993.

 

I nobili giustizieri di Spilimbergo


La piana della Richinvelda sembra sia stata il nucleo giurisdizionale della Pieve, il centro del “Gericht” – giudizio di sangue – dove sorgevano le forche dei nobili giustizieri di Spilimbergo e, a breve distanza, quelle di Valvasone.
I signori di Spilimbergo consideravano la cortina della Pieve di San Giorgio come il luogo più importante dei loro domini, anche se appartenente ad una Pieve diversa dalla propria.

In un documento datato 8 maggio 1281, Gio. di Zuccola prende possesso dei Feudi “spilimberghesi fuori e dentro la pieve di San Giorgio, pigliando frondi delle piante sorgenti sulla piazza e Cortina di San Giorgio”. Nella prima metà del XII secolo sorse la chiesetta curata dal Pio Istituto Elemosiniero di San Nicolò che aveva lo scopo di dare assistenza spirituale ai condannati a morte, funzione che divenne di assistenza per i pellegrini, i bisognosi e le ragazze povere con la fine del patriarcato.

Chiesa di San Nicolò della Richinvelda.

IL LUOGO. Esterno della Chiesa di San Nicolò della Richinvelda.

 

 In questa piana il 6 giugno 1350, reduce da un Concilio regionale a Padova, fu ucciso il patriarca di Aquileia Bertrando di San Genesio per mano dei congiurati capeggiati da Enrico di Spilimbergo. Il corpo ferito del presule fu portato nella Chiesa di San Nicolò dove spirò. Nella Chiesa due affreschi esaltano la carità del Patriarca, successivamente beatificato, e narrano la sua tragica fine.

Chiesa di San Nicolò della Richinvelda

IL LUOGO. Interni della Chiesa di San Nicolò della Richinvelda

Sul luogo in cui fu colpito, nel 1450, a un centenario dalla morte, venne collocato un cippo commemorativo per volere dei canonici concordiesi che avevano diritto di collazione sulla pieve di San Giorgio; nel 1760 fu beatificato dal papa Clemente XIII. Nel 1895 sul posto fu collocato un nuovo pilastro con un’epigrafe dettata dal monsignor Leonardo Perosa e la consunta lapide precedente è ora conservata nella sacrestia della chiesetta. L’altare interno, risalente al 1497, è opera datata e firmata da Giovanni Antonio Pilacorte. 

Chiesa di San Nicolò della Richinvelda

IL LUOGO. Interni della Chiesa di San Nicolò della Richinvelda

 

Il cippo della tragica fine del Patriarca Bertrando

Cronaca tratta da “Pagine Friulane” in occasione dell’erezione del monumento dedicato a Bertrando nel 1895: “Desideroso di visitare il sito ove avvenne la tragica fine del Patriarca Bertrando, per leggere de visu l’iscrizione ricordante quel fatto, oggi mi recai alla Richinvelda e, là, trovai demolito il vecchio cippo in muratura e un operaio intento a completare un pilastro in Portland. In uno specchietto di questo osservai ricollocati i tre frammenti della vecchia lapide e, nell’opposta faccia, murata l’iscrizione scolpita su marmo di Carrara, il tutto eseguito – mi si disse – per cura del segretario vescovile D. Carlo Riva. È un lavoro che ricorderà più decorosamente e con esattezza cronologica, quella pagina di storia patria”. (L. Billiani, Nuova iscrizione alla Richinvelda, Pagine Friulane, a. VIII, n. 8, 13 ottobre 1895). 

Manoscritto antico

MANOSCRITTO. Nell’immagine: particolare dell’appunto riguardante la morte del Patriarca Bertrando di Aquileia su un manoscritto antico. Conservato alla Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli.

 

 

Il totem delle comunità friulane del Canada


Sono passati esattamente quarant’anni, era il 19 luglio del 1981, quando in occasione del IV congresso della Federazione dei Fogolârs Furlans del Canada, Udine venne omaggiata di un totem, simbolo del legame dei Fogolâr con la comunità di origine.

Opera imponente, alta 8,5 metri, realizzata in acero rosso dagli indiani Uroni, fa bella mostra nell’area verde di via San Daniele. L’esposizione alle intemperie ha creato nel tempo inevitabili problematicità, segnalate da alcuni cittadini all’amministrazione comunale, si è fatto carico di metterlo in sicurezza. Un intervento dal significato molto importante riferito a una storia di legami e di valori che non può essere dimenticata e trascurata.

 

L'imponente totem in acero rosso a Udine. 

Dall’ultimo censimento della popolazione del 2016, emerge che la componente costituita da Italiani immigrati ammontava in Canada a 236.635 persone. Una delle principali ondate migratorie è stata sicuramente quella di fine Ottocento. L’incremento più consistente del numero di residenti appartenenti alla comunità italiana in Canada avvenne fra il 1951 ed il 1961, quando passò da cinquantamila a quattrocentomila unità. Dopo un altro decennio, nel 1971, la popolazione residente in Canada di origine Italiana era di settecentotrentamila unità, dei quali trecentoottantacinquemila risultava nata in Italia.

Ciò ha portato nel tempo alla costituzione di una grande comunità italiana in Canada concentrata in gran parte nelle aree di Toronto e Montréal, perfettamente integrata, e che ha indubbiamente dato al Canada un grande apporto non solo economico ma anche culturale. Basti pensare al fatto che la lingua italiana è stata riconosciuta come “patrimonio della Nazione”.

 

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Stiamo vivendo da anni un eccezionale processo di trasformazione tecnologica e sociale, così vasta e così profonda quale mai si è avuta nella storia dell’umanità; un processo che ha preso avvio con l’invenzione del computer, è proseguito con la digitalizzazione e con internet e ha trovato come coprotagonista la televisione, cioè un medium che non si limita a trasmettere messaggi ma è essa stessa un messaggio, un medium che ha modificato e modifica anche le nostre capacità di percezione e di reazione.

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