L’elenco stilato tra il 25 settembre ed il 6 ottobre del 1679 costituisce a tutt’oggi il più importante documento sull’emigrazione carnica in età moderna.
Giorgio Ferigo e Alessio Fornasin rievocano, in un libro delle edizioni Forum, l’emigrazione carnica fra 1600 e 1700, nel momento in cui tutta l’Europa era nel pieno della pandemia di peste. Prima ancora della globalizzazione, il virus s’era esteso nei diversi Paesi europei ed ebbe conseguenze anche fra i nostri corregionali emigranti, sparsi nelle regioni della Mitteleuropa.
Nel dicembre 1678, in tutta fretta, nei cimiteri di Vienna fu data sepoltura ai cadaveri dei primi appestati. Poi l’epidemia dilagò, in città e nel contado; falcidiò la popolazione; guadagnò Praga e vi menò strage; furono denunciati focolai in Stiria ed in Carinzia. Quando, due anni dopo, la moria ebbe termine si contarono 60.000 vittime. La morte, a tamburo battente, aveva guidato i sudditi di Leopoldo, re e imperatore, alla fossa: così – riesumando un terrore d’altri tempi – si cristallizzò nella memoria dei superstiti e dei posteri l’immagine di quell’ecatombe; così fu raccontata dal mellifluo e maligno predicatore Abraham De Sancta Clara (nome d’arte di Ulrich Megerle) nel suo libro Mercks Wien! e nelle incisioni che lo illustravano; sul Graben di Vienna, a lungo arsero lumini ai piedi della Pestsäule di legno, eretta provvisoriamente a scioglimento votivo nell’ottobre 1679, finché non venne innalzata in suo luogo, definitiva, la Dreifaltigssäule, marmoreo ringraziamento e cifrato scongiuro.

LA COLONNA DELLA PESTE. Vienna venne colpita da una delle ultime grandi epidemie di peste. L’imperatore Leopoldo I d’Asburgo, lasciando la città, fece voto, se la peste fosse finita, di erigere una colonna di ringraziamento. La Colonna della Peste, in tedesco Pestsäule, sormontata da un gruppo della Santissima Trinità con nove angeli scolpiti, si erge nel centro del Graben di Vienna.
I dispacci di ambasciatori e di spie con le notizie delle disgrazie asburgiche giunsero a Venezia con celerità; e con altrettanta celerità si riattivarono le Istituzioni di Sanità – di cui la Serenissima aveva provveduto a dotarsi, dopo le terribili esperienze del 1575-1577 e del 1630-1631 – per impedire che il contagio guadagnasse la terraferma o, peggio, la laguna. Due Provveditori vennero inviati nella Patria del Friuli: Alessandro Molin “nelle parti di Monfalcon, fiumare e costiere marittime” a controllare quel frastagliatissimo accidentato confine; Nicolò Corner a presidiare i valichi montani.
Nicolò Corner fu efficente e brutale. Visitò i passi della Carnia ed a ciascuno di essi fece erigere i rastelli; impartì l’ordine di stampare le fedi di sanità; nominò tre procuratori aggiunti a Tolmezzo e li fornì di un piccolo drappello di armati di picche ed archibusi; ingiunse di bloccare qualsiasi movimento clandestino da e per l’Impero, pena la testa. Ordinò infine di compilare l’elenco nominativo degli assenti dalla Patria. Impreciso (come si conviene ad un censimento di era pre-statistica), approssimato per difetto, viziato da arbitri e pregiudizi, quell’elenco – stilato nel breve volgere di undici giorni, tra il 25 settembre ed il 6 ottobre del 1679 – costituisce a tutt’oggi, come ricordano Ferigo e Fornasin, il più importante documento sull’emigrazione carnica in età moderna.
Risultarono assenti 1.690 persone; 49 erano donne. La cifra, imponente in sé, acquista maggior rilievo al confronto con la popolazione della Carnia, che allora assommava, presuntivamente, a 21.000 abitanti. Mancava più dell’8% della popolazione globale, e più del 25% dei maschi adulti al di sopra dei quindici anni, con divari anche molto consistenti tra villaggio e villaggio, tra parrocchia e parrocchia, tra vallata e vallata. Nel Canal di Gorto, dove si registrano le prevalenze maggiori di emigranti, si riscontrano anche le minime di Ovaro e Prato; le percentuali sono contenute nella val Tagliamento e nella conca tolmezzina, salvo il picco di San Floriano di Illegio.