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9 March 2025
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Le idee e le culture dell'emigrazione

Direttore: Lucio Gregoretti

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Categoria 9 Piccola Patria 9 Tornare fra la gente

Tornare fra la gente

Tornare fra la gente

Il ruolo della Chiesa nella promozione dell’identità friulana e le dinamiche dell’emigrazione nell’evoluzione economica e sociale degli anni Settanta.

di LUCIO GREGORETTI

Rileggere la ricerca di Francesca Ulliana “Tornare con la gente. Clero e identità friulana” è un utile esercizio di riflessione sui processi identitari del Friuli, dai quali non è estraneo il fenomeno dell’emigrazione. Come segnala nella prefazione Giovanni Miccoli, e come è esplicitato nel titolo di questo volume, l’obiettivo principale di questo lavoro è sicuramente quello di individuare il contributo del clero nella «scoperta» dell’identità friulana, che ha sempre costituito un aspetto rilevante del dibattito politico e culturale della regione.

Parlare di clero in Friuli significa affrontare una realtà umana, religiosa, sociale e culturale di grande rilievo nella vita delle comunità locali e una componente essenziale delle dinamiche storiche. Non solo perchè la Chiesa rappresenta l’istituzione che per secoli, più di ogni altra, coordina, disciplina e organizza, soprattutto nel mondo rurale, i momenti fondamentali della vita individuale e collettiva; ma anche perchè il clero resta, nonostante tutto e fino ad anni recenti, uno dei pochi veicoli di espressione delle proprie comunità, rivelando insieme una capacità di adesione e di adeguamento ad esse, pur nel suo essere “corpo separato”, depositario del sacro che di quella storia costituisce un aspetto centrale. Rispetto all’orizzonte di allora, la secolarizzazione della società è cresciuta in tutti gli ambiti e, tuttavia, prestigio e impegno sociale della Chiesa rimangono un punto di riferimento essenziale.

Basilica di Aquileia

AQUILEIA. Lectio magistralis e omelia del cardinale Parolin ad Aquileia, in occasione della festa dei Santi Ermacora e Fortunato, patroni della regione Friuli Venezia Giulia, insieme all’arcivescovo Mons. Carlo Roberto Maria Redaelli e con i vescovi del Triveneto, della Slovenia e dell’Austria, nel luglio 2018. Una parte della lectio magistralis è stata dedicata alla terra goriziana e alla sua storia: “Fino al 1918 Gorizia era una città e una diocesi imperiale, guidata da eminenti figure di vescovi. L’interetnicità e il plurilinguismo erano una sua caratteristica peculiare. Qui i bambini  imparavano senza difficoltà tre lingue – italiano, tedesco e sloveno (e a casa anche il friulano) – giocando fra loro nelle piazze e nelle strade e frequentando le scuole”.

Il volume sviluppa una serie di tematiche, a cominciare dal ruolo della “Scuele Libare Furlane”, un’associazione degli anni cinquanta per la difesa e la diffusione del friulano. La Scuele nasce da un dibattito sul ruolo della Società Filologica Friulana, criticata da alcuni in quanto ritenuta troppo accademica e distante dal “friulano che muore”. Nel 1952 don Domenico Zannier fondò di conseguenza la Scuele Libare Furlane, che diffuse a suo modo l’insegnamento della lingua e della cultura friulana, pubblicò il periodico “Scuele Furlane”, ideò e organizzo nel 1959 il Festival della canzone friulana moderna, nel 1963 la sagra della villotta e la sagra del canto cristiano friulano.

E nel 1967 lo stesso Zannier, in collaborazione con Mario Argante e Galliano Zof, curò l’antologia-manifesto intitolata “La cjarande”. Un’iniziativa che intendeva arricchire le realtà dell’espressione friulana, in un contesto in cui spesso le stesse persone rivestivano contemporaneamente ruoli importanti in diverse istituzioni, partiti e movimenti. Tiziano Tessitori, ad esempio, capo dell’autonomismo friulano e deputato alla Costituente, fu Presidente della Società Filologica Friulana, SFF, e dell’ Ente Friuli nel Mondo nel 1953; Chino Ermacora, giornalista de “Il Gazzettino”, fu uno dei fondatori del Movimento Popolare Friulano, MPF, nel
1947 e Segretario della Società Filologica Friulana nel biennio successivo; Gianfranco D’Aronco, dopo la fine della guerra, fu Segretario della SFF, della FACE (Famiglia Artisti Cattolici Ellero) e del MPF nel 1947; Pier Paolo Pasolini fu un fondatore
del MPF nel 1947 e membro del Direttivo della SFF; Giuseppe Marchetti, anima e colonna di “Patrie dal Friûl”, fu vice-presidente della SFF e dirigente del MPF; Etelredo Pascolo e Luigi Ciceri furono dirigenti del MPF.

Nel 1962 Pascolo, mons. Pietro Londero, don Francesco Placereani e altri si staccarono da “Scuele Libare Furlane” e fondarono l’associazione “Int Furlane”, che a partire dal gennaio 1963 pubblicò l’omonimo mensile e promosse un’intensa e benemerita attività editoriale: Il Messâl Furlan; Nozze ieri in Friuli; Vanseli; I faz dai apuestui e l’Apocalisse; Gjudite; I faz dai Macabeos; Ristret di storie da l’art furlane.

“Int Furlane”

ARCHIVI. Numero storico di Int Furlane. Il morâr, simbolo della civiltà contadina del Friuli, disegnato dall’architetto Enzo Pascolo, figurava nella testata fra le parole “Int Furlane”.

Proprio a “Int Furlane” è dedicata la seconda sezione del libro di Francesca Ulliana “Tornare fra la gente”. Etelredo Pascolo, si occupò di dirigere, redigere e impaginare, fra il gennaio 1963 e il dicembre 1987, 275 numeri della rivista rigorosamente in friulano a quattro pagine, che diventavano sei per la fusione dei due numeri estivi, il 7 e l’8. Gianfranco Ellero, in un libro dedicato allo stesso Pascolo, traccia il percorso della rivista: “Int Furlane” fu un mensile redatto e impaginato con garbo, gradevole anche sotto il profilo estetico per la testata e gli occhielli disegnati dall’arch. Enzo Pascolo, sempre attento agli “interès dal Friûl”, che non furono soltanto quelli legati al regionalismo, ma anche alla storia, alle tradizioni popolari, alla letteratura, all’ecologia, alla tutela del paesaggio, allo studio degli archivi, alla tutela delle minoranze (in Europa, non solo in Italia) e naturalmente alla lingua del Friuli.

Non era peraltro un luogo di dibattito su questi temi, bensì una tribuna dalla quale venivano enunciate e ribadite determinate ben ferme idee: una tribuna patriarchina e clericale, così definibile non perché erano sacerdoti alcuni dei più importanti collaboratori, come Pietro Londero, Francesco Placereani e Tite Falzari, bensì per la costante attenzione che Pascolo dedicava agli atti e alle vicende del clero, considerato ancora l’anima del Friuli.

Si spiega così anche l’attività editoriale di “Int Furlane”, quasi interamente dedicata alle Sacre scritture tradotte in friulano. Pascolo e i traduttori, infatti, erano convinti che i Vangeli e la Messa in friulano sarebbero stati una linfa rivitalizzante per la lingua friulana, e non davano eccessivo peso alla secolarizzazione già allora in atto nella società cattolica italiana, che stava invadendo anche il Friuli e devitalizzando la civiltà cristiana e contadina della nostra regione.

Antonio Maccaferri, Ritratto di suora che prega.

ARCHIVI. Antonio Maccaferri, Ritratto di suora che prega. Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia.

Una parte di “Tornare fra la gente” è dedicata da Francesca Ulliana all’analisi della realtà, come emerge nel periodo cruciale di cambiamento degli anni sessanta dalle pagine di “Int Furlane”, considerando le trasformazioni dell’economia, le cause del sottosviluppo e le istanze di modernizzazione. Vale la pena riprendere questi spunti in considerazione dell’evoluzione sociale che proprio in quella fase storica coinvolse il Friuli, nel momento in cui l’organizzazione produttiva basata sull’agricoltura, sui ritmi di lavoro, sulle forme di scambio, sui rapporti sociali ad essa legati si andava trasformando e ridimensionando, sia dal punto di vista quantitativo (occupazione, reddito prodotto), sia da quello qualitativo (ruolo del settore nel complesso dell’economia).

“Uno sviluppo, quello dell’industrializzazione, non privo di contraddizioni di carattere qualitativo. La più evidente persistenza di nicchie di sottosviluppo è testimonianza dalla dimensione dell’emigrazione: “Vin dit che la migrazion va ridusinsi, cussì almancul a si lei tes statistichis. Ma purtrop si trate di une riduzion di pôc, sichè la plae dolorose ‘e reste simpri viarte tal nestri Paîs” (1). Questa valutazione, che “Int Furlane” riconferma in varie occasioni contestando polemicamente la tesi che «la migrazion no esist», rappresenta un preciso giudizio nel dibattito che intorno all’emigrazione friulana si è vivacizzato nella seconda metà degli anni sessanta.

Va prendendo corpo una nuova presa di coscienza delle conseguenze sociali del fenomeno, attraverso l’analisi della sua consistenza, della linea di evoluzione, delle sue cause e delle responsabilità e la valutazione dei costi e dei vantaggi economici che comporta. “Int Furlane” contesta tutta l’interpretazione “giustificazionista” che tende a vedere l’emigrazione come «libera» scelta sul più ampio mercato del lavoro europeo e mondiale, riprendendo con ironia affermazioni di questo tenore: “Chei ch’a van a vôre tal forest lu fasin par spirt di venture, par inters, par no restâ sogjez in famèe, ec.ec. Chei ch’a van vie a’ son int libare ch’e si cîr un puestut tal mont, e el mont al è di duc’, al è daviert a duc’!” (2).

Giuliano Borghesan, Anziana donna e ragazzo in prossimità di una chiesa.

ARCHIVI. Giuliano Borghesan (1934-2019), Anziana donna e ragazzo in prossimità di una chiesa. Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia.

Oltre alla giustificazione ideologica del fenomeno migratorio è puntualmente rovesciata quella economica, che attribuisce all’emigrazione la funzione di attenuare gli squilibri economici del territorio, accrescendo la ricchezza attraverso le rimesse. “Int Furlane” tenta anche una interpretazione delle cause della persistenza del fenomeno migratorio in Friuli. Si insiste quale soluzione del problema sulla necessità di potenziare l’industrializzazione friulana. Ma non solo incrementando in termini quantitativi l’occupazione. L’accentuazione che viene data al tema dei bassi salari e quindi all’emigrazione come ricerca di salari più remunerativi richiede il superamento dell’insieme delle contraddizioni che accompagnano lo sviluppo in corso, considerato, ad esempio, che per la manodopera che rimane in Friuli la possibilità di un tenore di vita soddisfacente è data dal doppio lavoro.

I salari troppo bassi derivano anche da una condizione strutturale dello sviluppo imprenditoriale friulano, in quanto all’espulsione di manodopera dall’agricoltura non hanno corrisposto, come altrove, fenomeni di urbanizzazione e concentrazione industriale. Non si è attuato un netto distacco del nuovo ceto operaio dal mondo rurale da cui proviene, né in termini di produzione di reddito agricolo (anche se aggiuntivo e spesso funzionale solo all’autoconsumo familiare), né riguardo alle condizioni generali di vita, relazioni sociali, insediamento. La industrializzazione dispersa sul territorio, “decentrata”, si e realizzata, insomma, senza una significativa ristrutturazione sociale, ancorata al modello agricolo e rurale attraverso la “persistenza di un vasto tessuto produttivo di piccole aziende a conduzione diretta” con il “mantenimento quindi di un rapporto di proprietà e di lavoro con la terra”.

Il libro, analizzando “Int Furlane”, individua i limiti del carattere dell’organizzazione del lavoro in Friuli e del rapporto tra fabbrica e campagna. “Proprio perché non viene colto l’intreccio «necessario» tra sviluppo e persistenza di aspetti dell’organizzazione produttiva precedente, come condizione stessa attraverso cui si attua in Friuli l’industrializzazione, i termini di valutazione e la proposizione di un correttivo, di un superamento del sottosviluppo, si rivelano in parte piuttosto astratti e comunque ricalcano schemi di interpretazione e giudizio legati a una concezione, allora prevalente, dell’industrializzazione come concentrazione industriale”. 

Piergiorgio Branzi, Edifici religiosi.

ARCHIVI. Piergiorgio Branzi (1928-2022), Edifici religiosi. Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia.

Di conseguenza, la presenza del part-time viene considerata un elemento di paleocapitalismo, di debole sviluppo; la capacità imprenditoriale dell’industriale friulano viene giudicata inadeguata, arretrata, rispetto a un modello di imprenditorialità e di industrializzazione che, proprio in quegli anni, stava entrando in crisi nelle aree di maggiore concentrazione industriale italiane.

Oltre alla giustificazione ideologica del fenomeno migratorio è puntualmente rovesciata quella economica, che attribuisce all’emigrazione la funzione di attenuare gli squilibri economici del territorio, accrescendo la ricchezza attraverso le rimesse. “Int Furlane” tenta anche una interpretazione delle cause della persistenza del fenomeno migratorio in Friuli. Si insiste quale soluzione del problema sulla necessità di potenziare l’industrializzazione friulana. Ma non solo incrementando in termini quantitativi l’occupazione. L’accentuazione che viene data al tema dei bassi salari e quindi all’emigrazione come ricerca di salari più remunerativi richiede il superamento dell’insieme delle contraddizioni che accompagnano lo sviluppo in corso, considerato, ad esempio, che per la manodopera che rimane in Friuli la possibilità di un tenore di vita soddisfacente è data dal doppio lavoro.

I salari troppo bassi derivano anche da una condizione strutturale dello sviluppo imprenditoriale friulano, in quanto all’espulsione di manodopera dall’agricoltura non hanno corrisposto, come altrove, fenomeni di urbanizzazione e concentrazione industriale. Non si è attuato un netto distacco del nuovo ceto operaio dal mondo rurale da cui proviene, né in termini di produzione di reddito agricolo (anche se aggiuntivo e spesso funzionale solo all’autoconsumo familiare), né riguardo alle condizioni generali di vita, relazioni sociali, insediamento. La industrializzazione dispersa sul territorio, “decentrata”, si e realizzata, insomma, senza una significativa ristrutturazione sociale, ancorata al modello agricolo e rurale attraverso la “persistenza di un vasto tessuto produttivo di piccole aziende a conduzione diretta” con il “mantenimento quindi di un rapporto di proprietà e di lavoro con la terra”.

Aldo Beltrame, Cerimonia

ARCHIVI. Aldo Beltrame (1932-), Cerimonia. Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia.

Il libro, analizzando “Int Furlane”, individua i limiti del carattere dell’organizzazione del lavoro in Friuli e del rapporto tra fabbrica e campagna. “Proprio perché non viene colto l’intreccio «necessario» tra sviluppo e persistenza di aspetti dell’organizzazione produttiva precedente, come condizione stessa attraverso cui si attua in Friuli l’industrializzazione, i termini di valutazione e la proposizione di un correttivo, di un superamento del sottosviluppo, si rivelano in parte piuttosto astratti e comunque ricalcano schemi di interpretazione e giudizio legati a una concezione, allora prevalente, dell’industrializzazione come concentrazione industriale”. 

Di conseguenza, la presenza del part-time viene considerata un elemento di paleocapitalismo, di debole sviluppo; la capacità imprenditoriale dell’industriale friulano viene giudicata inadeguata, arretrata, rispetto a un modello di imprenditorialità e di industrializzazione che, proprio in quegli anni, stava entrando in crisi nelle aree di maggiore concentrazione industriale italiane.

Oggi, sulla base degli indici economici di cui disponiamo, possiamo giudicare quegli anni come la fase iniziale di uno sviluppo friulano che, proprio per i suoi caratteri diffusi, ha consentito un rapida evoluzione e ha fatto registrare spesso indici di incremento superiori a quelli medi nazionali. La tesi dell’arretratezza era, però, allora generalmente condivisa da tutti gli ambienti politici ed economici, confortata in effetti da alcuni indiscutibili dati quantitativi e dai parametri stessi di analisi della realtà industriale, che privilegiavano la media e grande industria.

Luigi Crocenzi, Primo piano di gruppo di sei seminaristi.

ARCHIVI. Luigi Crocenzi (1923-1984), Primo piano di gruppo di sei seminaristi.

Il carattere di tali analisi condiziona anche la proposizione delle soluzioni operative, che vengono individuate, pressoché unanimemente, nell’attivazione dei poli di sviluppo e nell’intervento dello Stato attraverso l’impianto di grandi stabilimenti. Il mito della grande industria, preferibilmente di Stato, di un «vero» sviluppo industriale, affiora anche in “Int Furlane”, anche se non viene formulata un’ipotesi precisa e ben definita riguardo all’industrializzazione. Si può comunque rilevare uno iato tra questa proposizione dello sviluppo, tipica del resto del dibattito di quegli anni, che implica un distacco definitivo del lavoratore (diventato operaio) dalla terra e una maggiore concentrazione urbana, e altre affermazioni del giornale in cui si valorizzano i modi di vita friulani, legati al paese, alla famiglia, alla terra, alla cultura che si esprime entro questi punti di riferimento.

Una sorta di ambivalenza tra «tradizione» e «modernizzazione» caratterizza l’atteggiamento complessivo con il quale si affronta da parte di questo autorevole osservatorio il tema dello sviluppo friulano. L’emigrazione come sacrificio per il sostegno personale e per la propria famiglia, nel contesto di uno sviluppo economico contradditorio, rimane questione ancora significativa. La discussione successiva vedrà l’emergere di nuovi temi di confronto, compreso quello dell’evoluzione della dimensione europea, questione che vide “Int Friulane” in prima fila. 

In uno dei primi numeri della rivista, il numero 4, si palesa chiaramente la natura europeista del giornale nel fondo intitolato “Il Friûl e l’Europe”: “L’Europe viodude dal Friûl, da furlans ’o crodin ch’e cjapi un savôr ch’al è dificil vêlu a Rome e salacor ancje a Vignesie: al è un savôr gnûf ch’al podarà fânus ben”. Posizione chiara che non ha bisogno di traduzione.

Note

(1) “Abbiamo detto che l’emigrazione va riducendosi, così almeno si legge nelle statistiche. Ma purtroppo si tratta di una riduzione di poco, sicché la piaga dolorosa resta sempre aperta nel nostro Paese.” 

(2) “Quelli che vanno a lavorare all’estero lo fanno per spirito di avventura, per interesse, per non rimanere dipendenti in famiglia, ecc. ecc. Quelli che vanno via sono gente libera che si cerca un posticino nel mondo, e il mondo è di tutti, è aperto a tutti.”

 

Friulano online

 

“Rafforzare l’uso della lingua friulana è importante, non possiamo permetterci che, con l’andare del tempo, si affievolisca per lasciare campo a giornali, radio, televisione che parlano sempre e solo in italiano.

Il corso che ARLeF e Filologica organizzano per garantire continuità alla formazione in marilenghe, anche in tempi di pandemia, darà il suo valido aiuto per fornire prime basi di grammatica per incrementare la conoscenza e uso della lingua e per continuare a coltivare l’orgoglio di essere friulani”: così l’assessore regionale alle lingue minoritarie, Pierpaolo Roberti, ha presentato la nuova versione per i corsi pratici di lingua friulana.

L’attività formativa caratterizzata da lezioni di alfabetizzazione si tiene interamente online, sulle piattaforme Moodle e Zoom. Con l’ultima legge di Stabilità approvata in Consiglio Regionale è stata dimostrata, con i fatti, l’attenzione concreta della regione Friuli Venezia Giulia nel settore delle lingue minoritarie.

Pierpaolo Roberti

L’assessore regionale alle Autonomie locali e all’Emigrazione Pierpaolo Roberti. Foto Regione FVG.

 

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