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9 March 2025
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Le idee e le culture dell'emigrazione

Direttore: Lucio Gregoretti

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Categoria 9 Storia & Storie 9 Alla conquista della terra che dorme nelle gelide vastità siberiane

Alla conquista della terra che dorme nelle gelide vastità siberiane

Alla conquista della terra che dorme nelle gelide vastità siberiane

La storia dei lavoratori friulani nella costruzione della Transiberiana e la tragedia del rientro e di coloro che per scelta o per destino rimasero in Siberia.

di LUCIO GREGORETTI

La mitica conchiglia del vecchio kirghiso Anataj a forma di spirale, simile alla cupola di una pagoda orientale con in cima una guglia, avvicinata all’orecchio amplifica i fragori e i fremiti delle asperità del paesaggio siberiano e gli echi degli affanni e delle pene degli uomini. Cent’anni dopo, Carlo Sgorlon ricostruisce in un maestoso romanzo l’epopea degli emigranti friulani nelle gelide vastità tra gli Urali e il fiume Lena e poi oltre, nella Transbajkalia, “al di là del Bajkal”, sente sulla propria pelle la fatica e le sofferenze delle asprezze del lavoro e dell’ambiente così ostile e lo sconforto della nostalgia.

La conchiglia di Anataj è l’omaggio di un grande scrittore ai pionieri di un’impresa titanica, la costruzione della transiberiana. L’avventura ha inizio nella città dal nome della grande martire Caterina, Ekaterinburg, “una città che sorge appena al di là di quella serie di colline verdi che sono i monti Urali”. Un embrione di popolo, quello friulano, racconta il protagonista Valeriano, gente operosa spinta dalla necessità di mantenere sé stessi e i propri familiari, che ha in mano un patrimonio di capacità preziose: chi fabbro, chi sterratore, falegname, scalpellino.

Nel primo tratto si viaggia su un treno, stracarico di lavoranti volontari, tartari, mongoli, kirghisi, ma quando i binari finiscono si prosegue con carrozze prive di molleggio e coperte da una tenda, le famose taràntas russe, scortate per lunghi tratti da soldati a cavallo, poiché il rischio è dietro l’angolo: predoni di cavalli e assaltatori di diligenze.

La meta appare un lontanissimo miraggio, è una città, dal nome impronunciabile, Irkutsk, da cui il fascino della costruzione della grande ferrovia prende corpo. Nello snodarsi delle migliaia di chilometri della nuova linea si manifestano le tante emozioni che investono gli uomini impegnati nella sorprendente avventura, quelle dell’esaltazione e quelle dello sconforto, delle piccole gioie e dei grandi malcontenti.

 

Copertina del libro di Carlo Sgorlon, La conchiglia di Anataj

SGORLON. La conchiglia di Anataj è un omaggio ai lavoratori friulani in Siaberia.

La terra che dorme

Rendere accessibile la “terra che dorme”, Sibi, da cui sembra derivi l’origine del nome Siberia, e sfruttare le risorse dell’immenso spazio asiatico che si estende dalle sponde dei monti Urali fino alle rive del Pacifico e su, in alto, sino alle gelide acque del Mar Artico è il grande sogno russo.

La conquista della Siberia era iniziata nel 1600 da parte di pochi cacciatori e mercanti di pellicce, poi da contadini in cerca di terra. Lo Stato zarista vi aveva organizzato un’amministrazione e costruito avamposti fortificati diventati città, come Chelyabinsk, Tomsk, Krasnojarsk, Bratsk, Habarovsk, Verhojansk, Omsk.

Alla fine del XVII secolo l’Oceano Pacifico venne raggiunto e i Russi passarono in America, dove colonizzarono le coste dall’Alaska alla California settentrionale. Già allora in questa immensa regione ghiacciata erano esiliati gli oppositori politici degli zar, destinati a moltiplicarsi poi con le massicce deportazioni dell’era staliniana.

Con lo sviluppo della tecnica, realizzare una ferrovia da Mosca a Vladivostok sembra diventare la via possibile per accedere ai ricchi giacimenti minerari – petrolio, carbone, oro – di questo territorio. Per avviare l’impresa serve la determinazione di un leader visionario, innovatore e riformatore, ma anche spregiudicato, quell’imperatore Alessandro III che aveva dato alla Russia la sua massima espansione, congiungendo il Mar Caspio a Samarcanda, poi a Taskent e a Kasgar, sino all’Armenia e ai confini settentrionali dell’Afghanistan.

 

Ghiacci del lago Bajkal, nell'Oblast’ di Irkutsk, in Russia. Foto di Ekaterina Sazonova.

SIBERIA. Bajkal, Oblast’ di Irkutsk in Russia. Foto di Ekaterina Sazonova.

Ci vogliono tre anni, dal 1891 al 1893, perché ben 39 tra cartografi e topografi militari russi individuino il tracciato della ferrovia. E prima di iniziare i lavori si rende necessaria la firma di un accordo fra Russi e Cinesi, della durata di ottant’anni, per consentire l’attraversamento provvisorio della Manciuria, riducendo in tal modo il percorso di ben 550 chilometri e soprattutto garantendo all’impresa condizioni climatiche meno traumatiche.

I lavori iniziano nel febbraio del 1894, e Alessandro III non immagina certo che non ne vedrà la fine. Si ammala infatti di nefrite e muore il primo novembre 1894, a neppure 49 anni. Gli succede il figlio maggiore, Nikolaj, con il nome di Nicola II di Russia, conosciuto come Nikolaj Aleksandrovic Romanov, che la Chiesa Ortodossa definisce come “San Nicola II imperatore martire e grande portatore della Passione”. Suo malgrado è destinato a diventare in seguito il protagonista delle ultime tragiche vicende dell’Impero russo travolto nella Rivoluzione d’Ottobre.

La storia lo ricorda soprattutto per la “domenica di sangue”, il 22 gennaio 1905, quando si verificò l’ammutinamento della corazzata Potëmkin, e per le vicende legate alla sua fine: nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918 l’ex imperatore e la sua famiglia vengono uccisi e fatti a pezzi nel bosco di Koptiakij. Fine di una storia secolare. Solo nel 1990 ne vengono ritrovati i corpi in una fossa poco profonda, sotto le betulle di un prato alla periferia di Ekaterinburg.

 

Ghiacci sul lago Bajkal, nell'Oblast’ di Irkutsk in Siberia, Russia. Foto di Ekaterina Sazonova.

SIBERIA. Bajkal, Oblast’ di Irkutsk in Russia. Foto di Ekaterina Sazonova.

Lavorare per la Transiberiana

La notizia della grande impresa ferroviaria alimenta le speranze di un lavoro e di ricchi stipendi in tutta Europa. Lungo un tracciato di circa 9 mila chilometri ci sono da costruire ponti, tunnel, stazioni, porti d’imbarco. Alla fine vengono impiegati 60.000 operai (qualche fonte parla di 90.000) provenienti da ogni parte della Russia e dei paesi europei. Tra loro anche soldati e condannati ai lavori forzati. Molti di loro moriranno per le condizioni di lavoro faticose e disumane.

Anche gli italiani arrivano nel Caucaso, e fra loro i friulani, soprattutto delle valli isolate della Carnia, almeno 300 corregionali: abili muratori, falegnami e molti scalpellini, con parecchia esperienza di lavoro alle spalle nelle terre dell’Impero austriaco. Sulle due parti del lago Bajkal, con il granito, il più duro esistente, vengono realizzati i grossi pilastri che dovranno reggere i ponti sui fiumi: su uno di questi si possono ancora leggere due lettere scolpite alla meglio, BZ, corrispondenti alle iniziali lasciate da uno Zannier di Clauzetto che insieme ad altri sfidava la “campana” d’immersione per eseguire il proprio lavoro.

Proprio sulla Krugobajkal, il giro del Bajkal, assieme ai friulani, opera la più grande concentrazione di connazionali, tanto che esso viene definito come “il tratto italiano”. È uno dei tracciati fra i più complessi e rischiosi, dove vengono messi in servizio due speciali traghetti di collegamento delle sponde, sostituiti in inverno con slitte trainate da animali.

Sgorlon nelle sue pagine fa rivivere la dura esperienza che i nostri corregionali devono affrontare in una Russia sconosciuta e selvaggia, dove a far da padroni, oltre ai predoni, sono la neve, il ghiaccio e gli animali feroci: il lupo, l’orso e soprattutto la tigre siberiana. Sulla sponda occidentale del lago Bajkal soffia un vento tremendo, il più forte e freddo della regione, il Sarma, in grado di superare i 40 metri al secondo.

Il luogo che li accoglie è Kirkovsk, spazio che nella ricostruzione di Sgorlon “non frappone limiti all’ampiezza e alla profondità della Creazione”. Afferma il protagonista del libro Valeriano: “Fuori di ogni isba, appoggiata alla costruzione, c’era un’immensa catasta di legna, con le spalle coperte di neve. Nei recinti pochi alberi e pochi arbusti semisepolti dalla neve. Immaginai che altri occhi di cani mi stessero guardando, svegliati dal mio camminare furtivo. Attorno al villaggio poco lontana da esso, la taiga dilagava come un mare, sfiorata da una parte dalla luce della luna, limpida e tuttavia misteriosa”.

 

La fotografa Ekaterina Sazonova.

SIBERIA. Le immagini di questo articolo sono di Ekaterina Sazonova.

Senza limiti

Sulla Transiberiana si viveva e lavorava in luoghi disabitati e inospitali. Ai problemi tecnici si sommavano quelli dei rifornimenti. l binari dovevano attraversare intricate foreste, fiumi e laghi, montagne impervie e zone paludose. Gli operai furono soggetti a condizioni climatiche estreme; la temperatura notturna lungo l’itinerario raggiungeva i -35 e le maestranze dispongono solo di pale e picconi, e di cavalli per i trasporti di pietre, di legnami, del ferro, dei viveri e della biada.

Tutto era subordinato all’obiettivo di completare quanto prima la rotta di transito verso l’Oceano Pacifico. Si raggiunsero limiti vertiginosi di posa delle rotaie: 642 verste all’anno, 740 chilometri, una volta e mezza più veloci rispetto alla ferrovia canadese-pacifica realizzata anni prima.

Nel 1894 la ferrovia fu portata a Omsk, nel 1898 a Irkutsk. Tra il 1895 e il 1900 venne completato il tratto della cosiddetta Transbaicalica, che dal lago Bajkal, il lago più profondo del mondo e il cui bacino contiene quasi un quinto dell’acqua dolce del pianeta, giungeva fino al fiume Shilka, percorrendo 1.072 km. La ferrovia dovette scavalcare i monti Yablonovy, alti oltre 5 mila metri, correndo su cornici di alta montagna e tra foreste ricche di torrenti impetuosi.

Nel 1901 si iniziò la Circumbaicalica, la parte della transiberiana che da Krasnoyarsk si dirigeva verso est, fino al lago Bajkal e che richiese un impegno d’ingegneria straordinario per scolpire le pareti rocciose della riva sud del gelido lago e sistemare le rotaie con una imponente opera di muratura. Vennero scavati 33 tunnel nei promontori rocciosi e costruiti più di cento ponti.

Oltre due mila km di Transiberiana vennero realizzati lungo il fiume Amur dal 1907 al 1916 e rappresentarono l’ultimo tratto dell’opera. Prima di allora i viaggiatori dovevano fermarsi a Sretensk per scendere lungo l’Amur a bordo di traghetti, fino a Khabarovsk, dove potevano riprendere il treno.

 

Lago Bajkal nell'Oblast’ di Irkutsk in Siberia, Russia. Foto di Ekaterina Sazonova.

SIBERIA. Bajkal, Oblast’ di Irkutsk in Russia. Foto di Ekaterina Sazonova.

Traguardo amaro

L’odissea dei friulani in Siberia non finisce qui. La Rivoluzione d’Ottobre, nel 1917, scombinò la stabilità delle regioni asiatiche così lontane da Mosca e San Pietroburgo. La costruzione della ferrovia transiberiana, che avvicinò insperatamente la Russia europea alla Cina, gettò anche i semi di un futuro conflitto col Giappone.

Nel 1918 il tratto occidentale della Transiberiana cadde nelle mani di una legione di prigionieri di guerra cechi, mentre i giapponesi si impadronirono della ferrovia ad est del lago Bajkal. Dopo il collasso dell’Impero Russo nella Rivoluzione d’Ottobre, nel 1918 il Giappone e gli Stati Uniti spedirono forze in Siberia per sostenere il capo dell’Armata Bianca, l’ex ammiraglio della marina zarista Aleksandr Kolcak, contro l’Armata Rossa bolscevica.

La Siberia divenne, sotto il comando di Kolcak, una repubblica separatista ed un altro ex generale zarista si impossessò della ferrovia cinese orientale. La guerra civile durò più di tre anni, sinché i bolscevichi riacquistarono il controllo totale delle regioni attraversate dalla lunga ferrovia.

I fatti della Rivoluzione d’Ottobre tagliarono la via del ritorno alle nostre maestranze, costrette a viaggi insidiosi di migliaia di chilometri per rientrare in Friuli. Qualcuno dovette avventurarsi per l’Alaska, altri attraverso il sud est asiatico, di molti si persero le tracce e non riabbracciarono mai più i loro familiari.

A loro volta, i friulani che per scelta o per destino decisero di rimanere in Siberia dovettero affrontare, assieme ai loro discendenti, anche i successivi drammi della storia russa del ‘900. Nel 1938 molti di quegli italiani furono fucilati dai sovietici, dopo la firma del Patto tra Hitler e Mussolini, accusati di spionaggio.

 

Lago Bajkal ghiacciato, nell'Oblast’ di Irkutsk in Siberia, Russia. Foto di Ekaterina Sazonova.

SIBERIA. Bajkal, Oblast’ di Irkutsk in Russia. Foto di Ekaterina Sazonova.

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