Fra le personalità più singolari della cultura italiana all’estero, Giacomo Scotti ha attraversato alcune delle esperienze più critiche del Novecento e ora che ha compiuto il suo novantesimo compleanno (tanti auguri da tutti noi!) continua la
sua esperienza di scrittore di frontiera unica del genere.
La sua storia
familiare ci racconta che, orfano di madre sin da bambino, durante la seconda
guerra mondiale, il 28 marzo 1941, un suo fratello ufficiale di Marina, cadde
in mare nella battaglia di Capo Matapan. Lo stesso anno morì suo padre di
crepacuore, mentre nel luglio del 1943 un altro fratello fu catturato dagli
inglesi nella battaglia di Sicilia e, due mesi dopo, un terzo fratello venne
preso e fucilato dai tedeschi in ritirata da Napoli. Tempi feroci per
generazioni che hanno sofferto condizioni sanguinose di una guerra insensata
ormai dimenticate.
Quindicenne si
arruolò come mascotte nelle truppe ausiliarie britanniche e, quindi,
affascinato dagli ideali del socialismo, tentò di raggiungere la Jugoslavia
attraverso Trieste. Arrestato per espatrio clandestino ed incarcerato a Monfalcone vivrà,
assieme a tanti altri connazionali, una delle esperienze politiche fra le più
difficili del dopoguerra.
A Monfalcone, dove
l’Adriatico è stato, sin dalla notte dei tempi, crocevia di leggende e di
avventure, in quel lontano 1947 Giacomo Scotti incominciava una nuova avventura
umana. Tra l’inizio del 1946 e la fine del 1947 due flussi “migratori” si
incrociarono sull’incerto confine che qui divideva l’Italia e la Jugoslavia:
quello degli esuli italiani dall’Istria e quello dei cosiddetti “cantierini”, i
monfalconesi che si mossero in senso inverso, per correre incontro ai propri
ideali politici, decidendo di “andare a costruire il socialismo” nella neonata
Repubblica jugoslava. Non fu un’esperienza a lieto fine, perché la rottura fra
Stalin e Tito fu gravida di conseguenza proprio verso gli italiani passati con
entusiasmo a vivere nel vicino Paese. A loro è dedicato il libro di Giacomo
Scotti: “Goli Otok, italiani nel gulag di Tito”, che narra
appunto la loro sorte, che una nemesi
quasi beffarda fa finire, molti di loro, ai lavori forzati su un’isoletta
deserta del Quarnero, con l’accusa di stare dalla parte di Stalin nella dura
contesa sorta fra il capo russo e quello jugoslavo.