Un film di Christine Rorato presenta un grande affresco sull’epopea dei friulani nella costruzione della ferrovia transiberiana.
di ELIO VARUTTI
Il film di Christiane Rorato è eccezionale. Si intitola I dimenticati della Transiberiana, ma ha anche il titolo in francese: Les oubliés du Transsiberién, viste le origini francesi della regista, che vanta delle ascendenze friulane, di Rivignano.
Quando è stato proiettato al cinema Visionario di Udine, la sala più grande era stracolma di persone. Alla fine c’è stato un lungo applauso per lei. E pure un dibattito con la regista Rorato. Oltre alla regista era presente Bruno Beltramini che ha effettuato le riprese e Maria Grazia Renier, pittrice delle opere mostrate nel film. Già, perché la regista non voleva le fotografie, che avrebbero trasformato l’opera in un documentario.
Il suo film è un grande affresco sull’epopea dei friulani quando costruirono una parte della ferrovia transiberiana. È un interessante crogiolo di lingue, perché usa il friulano, il francese, il russo e l’italiano, con le didascalie di traduzione.



STAZIONI. Un set di cartoline celebrative della transiberiana, parte delle quali dedicate alle stazioni. Dall’alto: la stazione di Chita, importante nodo ferroviario, quella di Chelyabinsk, punto di partenza della prima tappa della parte occidentale, e Irkutsk con il grande parco merci. Casa editrice “Ferrovia”, Mosca, 2001.
Il libro e il grano
A volte il “cjast” (solaio, in friulano, o anche: granaio nella soffitta) può riservare delle autentiche sorprese. Tanti anni fa il “cjast”, luogo asciutto, secco, nelle case contadine del Friuli, serviva a conservare i grani. Anche se si doveva intraprendere una lotta dura contro i roditori (topolini), combattuti a suon di trappole molto ingegnose, il “cjast” era quasi un posto catartico. Nel “cjast” filtrava un raggio di sole dalle piccole finestre adatte solo a dare una buona aereazione alle granaglie.
Nel caso in questione, nel “cjast” viene riposto anche un libro di orazioni. Il libro e il grano sono vicini. Li scombicchera (“ju scribice”) solo l’“Orcolat” (Il Brutto Orco, ossia il terremoto). Li rimescola. Li ribalta. Il terremoto li butta a terra, ma non riesce a distruggerli. Qualcuno ritrova il libro e poi… Il film nasce da lì. Prima ci sono tante ricerche del signor Romano Rodaro, ottimo attore nelle sequenze filmiche. Il tutto sgorga da un libro di preghiere ritrovato a Buja, dopo il terremoto del 1976. Nell’ultima pagina contiene una giornata di diario a Missaavaja, in Siberia.
La città della Russia asiatica dove vanno a lavorare un folto gruppo di friulani è proprio Missaavaja, in altre grafie: “Mysovsk”. Tale denominazione della città dura dal 1902 al 1941, anno in cui assume il nome attuale di “Babuškin”, in onore di Ivan Vasil’evič Babuškin, rivoluzionario russo fucilato dagli zaristi nel 1906, proprio a Mysovsk. È così che un anziano signore va alla ricerca delle tracce di Luigi Giordani, lo sconosciuto che ha scritto sulla retro-copertina del libro di preghiere le seguenti parole: “Primo gennaio 1900, io Luigi Giordani e 13 altri friulani, sfidando un freddo intenso… a Missavia, Siberia”.
L’anziano signore è interpretato con una grinta da fare invidia alle scuole di cinema da Romano Rodaro, artigiano muratore, emigrato in Francia. Ecco gli straordinari incroci tra Friuli, Francia, Siberia e altri posti ancora. C’è inoltre una incredibile Contessa (interpretata dalla stessa Rorato), che ha ricevuto il messale da un capitano giapponese nel porto di Vladivostok, nella Russia estrema, ai confini con la Cina e la Corea.
I personaggi di questa sorta di romanzo filmato ci fanno fare un tuffo nel passato. Si va all’inizio del Novecento, quando alcuni scalpellini, muratori e falegnami friulani erano andati a costruire la Transiberiana sulle rive del lago Bajkal. È un film che apre il dibattito sul modo di affrontare la storia del territorio, secondo un’ottica che inizia dal particolare per andare al generale. Da un lato ci sono i fatti veri (Luigi Giordani è esistito, come pure gli oltre 450 friulani finiti in Siberia per qualche guadagno). Si va dall’autenticità delle cose alla fantasia della sua rappresentazione. La vicenda regge. La ricerca degli anni 2012-2016 delle tracce dei “dimenticati” è centrale nel film. Si mette in gioco una realizzazione spontanea, fuori dalle regole e con il piglio del plurilinguismo.

TRACCE. È una storia iniziata con la scoperta di un libro di un parrocchiano di Buja ritrovato tra le macerie di una casa distrutta dal terremoto in Friuli nel 1976. Sulle sue pagine un certo Luigi Giordani aveva scritto con la matita copiativa, grafite indelebile, questa frase: “Oggi, il primo dell’anno 1900, sfida i rigori più intensi del freddo in una lugubre e lorda baracca Giordani Luigi, in compagnia di altri tredici friulani stando sempre allegri in aspettativa di un avvenire prospero e lucroso. Massovaja”. Da allora Romano Rodaro, del Fogolar Furlan di Lione, ha cominciato i suoi viaggi, una decina ormai in Siberia, sulla riva del Lago Bajkal, sulle tracce di Luigi Giordani. L’Associazione Clape, con il Fogolar di Lione, ha ricostruito una parte di questi viaggi in una pubblicazione curata da Danilo Vezzio.
Qualcuno ha detto che non è un film storico, né un romanzo. La nuova opera di Christiane Rorato si apre alla storia del Friuli. Ci mostra spazi insospettati (la Siberia) ed allo stesso tempo cerca di risolvere un enigma. È stata un’occasione per comprendere dalla viva voce di Christiane Rorato le scelte di regia, i problemi e i fatti ridicoli o incresciosi accaduti durante le riprese del film, dedicato ai dimenticati costruttori friulani della Transiberiana. Siamo nel pieno dell’epopea degli emigranti friulani, tra fine ’800 e inizio ’900. Si partiva per la Americhe, per il Centro Europa. Questi “dimenticati” partono per la Siberia, dove contribuiscono alla costruzione della ferrovia lunga oltre 9 mila chilometri.
Le riprese sono iniziate a Buja e più precisamente a Ursinins Piccolo. È stato proprio lo spunto del manoscritto ritrovato dopo il terremoto a dare l’idea del film. Nella casa diroccata della famiglia di Celso Gallina si ritrova lo scritto di Luigi Giordani (1857-1921). È uno dei tanti scultori, scalpellini e muratori friulani che in quel tempo lontano prendono la strada del lago Bajkal, nella Siberia meridionale. Sembra una favola, ma è tutta verità. Essi vanno in cerca di lavoro.
Luigi Giordani è un misterioso bujese, perché si è scoperto pochissimo di lui. Si sa che sul principio del ventesimo secolo si trovava in una baracca con altri 13 colleghi di cantiere a Missaavaja, nel lontano e freddo Est asiatico. Luigi Giordani era figlio di Vincenzo Giordani, detto “El Mago Bide” (1820-1892). Costui realizzò una bella ancona nella borgata.
Christiane Rorato è stata autrice, nel 2003, del film intitolato: I guerrieri nella notte. Argomento ripreso dai Benandanti di Carlo Ginzburg. Nel 2011 ha prodotto La rugiada nel tempo, i cantori di Cercivento. In questi ultimi tempi ha creato Les oubliés du Transsiberién. Le prime riprese sono state effettuate a Ursinins Piccolo, grazie alla collaborazione del Comune di Buja.

TRENO STORICO. Con la famosa locomotiva P36 a Ivanovo Oblast in Russia. Immagine di Alexandr Bormotin, fotografo e viaggiatore dalla Russia. Il primo contingente di operai partì da Clauzetto nel febbraio del 1894, ma già nel 1893 tra Omsk e Tomsk lavorava l’impresario Pietro Brovedani. Tagliapietre, scalpellini, carpentieri, muratori e manovali furono impegnati per lo più sull’ansa del lago Bajkal, lunga 250 km, e tra Irkutsk e Chita, quasi ai confini con la Cina. Tra i diversi impresari si distinse Pietro Collino, che fece “compagnia” con tre soci: Domenico Indri, GioBatta Vidoni e Giovanni Toffoli. Alle sue dipendenze in Russia lavorarono più di un centinaio di uomini provenienti da Pinzano e Valeriano, Travesio e Toppo, Castelnovo, Clauzetto, Artegna e Osoppo.
Sulle rive del Bajkal a costruire la Krugobaikalskaja
La narrazione delle vicissitudini degli italiani nella costruzione della ferrovia siberiana intorno al lago Bajkal è una componente importante del senso di sé di un popolo che ha mandato generazioni di giovani a lavorare nel mondo. Sulla base di queste premesse il libro Italiani sulle rive del Bajkal fornisce uno spaccato importante del lavoro friulano in Siberia nella costruzione della Transiberiana.
Ne è autrice un’importante figura del giornalismo russo: la professoressa Elvira Kamenscikova, curatrice anche di un libro sul fotografo bujese Giovanni Minisini, il quale fu professionalmente attivo anche nella città di Irkutsk, località della Russia siberiana centrale, in cui la stessa Elvira si è laureata e dove è redattrice di un settimanale.
La storia riguarda i trecento friulani che costruirono la Krugobaikalskaja, cioè quel tratto della ferrovia Transiberiana che segue i contorni meridionali del lago Bajkal. Lavorarono insieme con i russi, da Omsk al lago Bajkal.
A stimolarla in questa ricerca è stato il romanzo di Carlo Sgorlon, La conchiglia di Anataj, e l’incontro, quando era redattrice della rivista Resonance, con una ricercatrice di San Pietroburgo che lavorava nell’archivio della città e che aveva la lista di lavoratori di uno degli impresari impegnati nella costruzione della famosa curva della ferrovia lungo le sponde del lago Bajkal, Giovanni Carlo Andreoletti da Bessano.
Trecento di questi erano friulani: arrivavano da Montenars, Osoppo, Forgaria, Clauzetto, Vito D’Asio, Trasaghis, Majano, Campone. Gli altri venivano da diverse regioni italiane: Abruzzo, Lombardia, Alto Adige, Liguria ed Emilia Romagna. Il volume raccoglie anche l’elenco dei nomi dei partecipanti friulani ai lavori della Transiberiana e della Circumbaicalica.
URALI. La costruzione della linea transiberiana: foto ricordo della Siberia di emigranti della zona di Pordenone.
Sogni e lavoro nelle storie dei friulani
Venne realizzata nel 2012 la grande mostra del CRAF, Centro Friulano Arti Fotografiche, per riproporre alcuni aspetti dell’epopea dei lavoratori friulani impiegati nella realizzazione della ferrovia transiberiana nell’area Krugobaykalia, riemersi da archivi privati o da fondi bibliotecari, e per illustrare le condizioni di lavoro degli emigranti friulani, la loro vita quotidiana e i rapporti con i russi.
L’esposizione è nata dalla collaborazione fra la Provincia di Pordenone e l’Ente Friuli nel Mondo. L’itinerario giunge fino alla Rivoluzione d’Ottobre, 1917, quando fu tagliata la via del ritorno alle maestranze friulane che solo grazie ad avventurose circostanze poterono riabbracciare i propri cari, dopo viaggi di migliaia di chilometri attraverso problematici transiti per l’Alaska o il sud est asiatico.
Domenico Indri in diverse immagini tratte dalla mostra Sogni e lavoro nelle storie dei friulani del CRAF.