Esperienze da oltreoceano: le nuove generazioni di friulani in America sono in buona parte dei professionisti di successo.
di JACK DEGANO
Per secoli, fino a qualche decina di anni fa, friulanità ed emigrazione andarono di par passo. Dai cramars che giravano di casa in casa in Austria, agli artisti del mosaico che abbellirono muri e pavimenti in tutto il mondo, centinaia di migliaia di friulani scelsero di emigrare in cerca di un lavoro che permettesse una vita più sicura. Il Friuli non era una zona industrializzata e chi non aveva una campagna sufficiente per mantenere una famiglia, non aveva altra scelta che emigrare: o in altre zone d’Italia, o ad altra nazione.
Sarebbe difficile determinare la proporzione di quanti si stabilirono nella nuova patria e quanti invece rientrarono in patria e costruirono una loro casa. Entro la mia cerchia familiare la più parte rientrarono in Friuli, dopo aver lavorato per anni nei vari paesi: Svizzera, Francia, Lussemburgo, Argentina, Australia. E in tempi anteriori, diversi compaesani rientrati dopo anni negli Stati Uniti costruirono le loro case sulla stessa strada, che da allora è conosciuta come “La vie dai Dollars”. Il sottoscritto è una eccezione per quanto riguarda la nostra famiglia: sono qui da 45 anni.
Può essere di interesse domandarsi se coloro che decisero di entrare a far parte del paese di adozione dovettero scalare una montagna di ostacoli e come si immedesimarono con la nuova cultura. Molto dipende, ovviamente, dal paese di adozione e dalla preparazione culturale e professionale dell’emigrante friulano. I friulani che ebbi occasione di conoscere in Svizzera, in Francia e, naturalmente, negli Stati Uniti dove io mi trovo, avevano già una certa conoscenza della lingua e un contratto di lavoro che li metteva al sicuro. Lo stesso non deve essere stato il caso di coloro che, in passato, arrivavano impreparati.
Di qui la situazione di molti che si sentivano mal sopportati e a volte ostacolati. Ma anche questi emigranti erano determinati a voler far parte integrante del nuovo paese. Se in casa parlavano il friulano, insistevano che i figli imparassero la lingua locale, facessero amici tra i residenti e abbracciassero i nuovi valori. La prassi ha dato i suoi frutti e le nuove generazioni di friulani in America sono in buona parte dei professionisti di successo.

CINCINNATI, USA. Jack Degano e Eileen Galligher nella loro abitazione nell’Ohio.
“Il malât al puarte il san”
Viene in mente una filastrocca dove il furbo sano convince il malato a portarlo sulla schiena. Descrive in qualche modo una situazione che alcuni ritengono stia avverandosi qui, e forse anche in Europa. Mentre l’emigrante friulano del passato cercava di immedesimarsi con la cultura locale, certi nuovi emigranti pretendono che il paese ospitante si adatti alla cultura del loro paese di origine. Ovviamente non si tratta di emigranti friulani, ma descrive il nuovo clima del fenomeno dell’immigrazione e spiega come mai un paese che tradizionalmente dava il benvenuto a nuovi arrivati, stia diventando non accogliente.
Gli americani sono chiaramente a disagio quando sanno di immigrati che qui, sul loro stesso soglio, gridano “Morte all’America”; domandano che la nazione cambi il suo sistema di vita e abbracci il sistema socialistico del paese dal quale gli emigranti sono fuggiti; o l’America accetti il sistema di giustizia della Sharia. Similmente, risentono che la lingua spagnola è ormai diventata la norma per molte organizzazioni e il commercio. Le ONG locali la richiedono anche dalle scuole pubbliche. “Il malât al puarte il san?” O è la realizzazione che ci sono milioni di immigranti dall’America Latina che debbono essere contattati al livello della loro conoscenza attuale?
D’altra parte c’è una chiara volontà di accogliere molti nuovi emigranti. Le organizzazioni caritative e buona parte delle Chiese ritengono che accogliere gli emigranti è una dottrina basata sulla Sacra Scrittura e sulla tradizione cristiana. Da parte loro, i sociologhi insistono che l’immigrazione è assolutamente necessaria per sopperire alla evidente mancanza di nascite da parte dei residenti tradizionali. La situazione non è così drammatica come in Europa, e specialmente in Italia, ma è attuale. In passato la necessità era sentita specialmente nel settore agricolo, ma ora è più generica. Ovviamente la crescita del numero di pensionati richiede un aumento di elementi lavorativi e produttivi- se non locali, vengano da altrove.

CINCINNATI. Homage to Cincinnatus, completato nel 1983, da allora è diventato una parte amata del paesaggio urbano ed è stato fonte di ispirazione per il programma murale di ArtWorks iniziato nel 2007.
Trasformazioni e cambiamenti
Tradizionalmente la situazione dell’America viene descritta come un amalgama: le varie culture si arricchiscono con l’aggiunta di ogni nuovo gruppo arrivato. La realtà è meno evidente. Nuovi apporti sono piuttosto di carattere secondario, non sostanziale. L’adozione della pizza italiana è interessante e indicativa della tendenza al consumo dei cibi preparati, ma non è un drammatico cambiamento di valori fondamentali. Lo stesso si può dire di tanti altri elementi nuovi e appariscenti.
Secondo molti, le reali trasformazioni di valori morali non possono essere attribuite all’apporto di nuovi gruppi di emigranti. Sono frutto di una più decisiva e non controllata applicazione del principio del diritto dei singoli a decidere liberamente come comportarsi. E gli altri debbono rispettare questo diritto. Restrizioni da parte della legge o delle religioni sono rifiutate. Comunque sia, sta il fatto che l’America del ventunesimo secolo non è quella degli anni dopo la prima guerra mondiale e nemmeno quella degli anni Cinquanta, quando tanti friulani emigrarono. È più accogliente e più rispettosa delle nostre abitudini. Ma è anche più esigente nel pretendere la capacità di dare un apporto e contribuire al bene comune.

CINCINNATI. Homecoming (Blue Birds) di Charley Harper, uno degli artisti più affermati e celebrati di Cincinnati.
Non ho l’idea di quanto facile sia al momento attuale l’ottenere il permesso di entrata negli USA. Immagino che non sia così facile per un friulano entrare legalmente come sembra esserlo per molti messicani e abitanti dell’America Centrale. Per essere ammesso, negli anni settanta, dovetti fare la fila, anche se, per vari motivi, la mia entrata fu facilitata. Tuttavia, tuttora risento l’umiliazione di essere stato esaminato – nudo – da un funzionario del consolato americano di Napoli per accertarsi di non so che, quasi che quel qualcosa non già esistesse negli Stati Uniti. Immagino di non averlo avuto e quindi ebbi carta libera! È stato difficile adattarsi al modo di vivere americano? Non per me – assolutamente. Avendo già vissuto in altre culture, nulla mi esasperò. Né ero così attaccato a qualcosa di diverso da sentirne la mancanza. Chi viene deve essere “aperto al nuovo, o rimanere nel vecchio”.
Qualcuno spinge il principio all’estremo. Come quel gentiluomo di questa zona, proveniente dalla Carnia, che addirittura si fece metodista (voglio immaginare che l’abbia fatto per convinzione). Altri potrebbero essere tentati a ricreare qui il tipo di vita lasciato. C’è un giusto livello di accettazione e ritenzione. La nostra auto ha come targa la parola FRIUL, ma la nostra vita è “americana”. Siamo orgogliosi dei Bastianich, ma domani avremo un hamburger per pranzo! C’è una nuova apertura a cibi e bevande di altri paesi, ma chi viene deve essere pronto a “diventare americano” e non pretendere che l’America divenga “friulana”.

TWIN TOWER. Cincinnati fu fondata nel 1788 con il nome di Losantiville.