Li chiamarono i Fondatori, partiti dal Friuli alla fine dell’Ottocento, costruirono in questa località Argentina una dinamica comunità fondata sul lavoro.
Il primo nucleo giunse al tramonto del 14 di marzo del 1878. Alloggiarono in un fabbricato oggi conosciuto come Estancia Gesuita di Caroya o Fabbrica di Armi Bianche di Jesús María. Si stabilirono tra quei muri e, da lì, uscirono a bonificare i campi. Erano 295: li chiamano “I Fondatori”.
Colonia Caroya è una città argentina della Provincia di Córdoba; è il cuore del Friuli. Non solo del Friuli d’Argentina, ma del Friuli sparso per il mondo. Un libro del 1975 di Maurizio Lucchetta, “Incontro con il lavoro friulano in Argentina”, racconta il senso e l’origine di questa storia e da quelle pagine ricostruiamo il divenire di una straordinaria esperienza umana e sociale. Un lungo viale di platani enormi, maestosi, gli unici platani probabilmente esistenti in America Latina. Il giorno 14 marzo del 1878 arrivarono a Colonia Caroya, 60 famiglie friulane, più o meno 300 persone. Nel febbraio del 79, sono arrivate 40 famiglie in più…
Ci chiediamo ancora come è possibile che un nucleo umano scardinato, sradicato dal suo ambiente naturale, asportato del suo contesto culturale e sociale, possa, inserito in un ambiente fisicamente diverso e socialmente inesistente come quello trovato dai primi coloni, dare vita e germinare in mezzo alla Pampa Argentina un altro pezzo del Friuli. Perché la profonda verità, il significato di Colonia Caroya è questo: che Colonia Caroya è Friuli più di quanto non lo siano ormai molti ambienti e molte componenti sociali all’interno della nostra stessa regione. Ecco perché riteniamo utile ora addentrarci nella storia di questa colonia.
Sono i primi giorni di Colonia Caroya. Di questa gente capace, disposta a un lavoro infaticabile, i giornali argentini descrivono le caratteristiche: “Sono persone che si sono cementate nel carattere attraverso varie generazioni. Nell’antica provincia italiana del Friuli. L’appartenenza di questo territorio alla giurisdizione prima dell’Italia e poi dell’Austria, alternativamente, ha fatto sì che questa gente abbia dei costumi speciali e una particolare moralità. Un tipo di vita molto particolare, quello del Friuli, dove il sistema feudale ha superato i confini di tempo che si sono verificati invece in altre zone. Per questi e per altri motivi i friulani hanno condizioni familiari e sociali che li distinguono”. Questo scrivevano i giornali dell’epoca.
Nei primi tempi la provenienza degli emigranti non sempre era conosciuta. Il 31 ottobre dello stesso anno, il giornale “La Republica” di Buenos Aires afferma che tra gli arrivati, circa sessanta famiglie erano italiane e che quanto era stato scritto circa la provenienza russo-germanica era errato. I trecento coloni erano friulani.
Abitudini: avevano la loro casa tipica con il loro fogolâr di stile friulano, il loro recinto per gli animali domestici, la stalla per le mucche, le gabbie per i conigli, il recinto per il maiale e per gli animali da cortile. Le donne provvedevano alla fabbricazione di conserve, alla conservazione sotto aceto delle verdure. Gli uomini erano intenti alla vinificazione e alla lavorazione dei formaggi. A quei tempi la semina si effettuava a mano, così come la raccolta dei foraggi e la sgranatura delle pannocchie. L’uva si pigiava con i piedi in una tinozza ed il burro si faceva sempre a mano, con la zagola.

ARGENTINA. Testimonianze della presenza dei friulani a Colonia Caroya si ritrovano nel libro di Maurizio Lucchetta, Incontro con il lavoro friulano in Argentina.
Molti di questi prodotti erano portati, per essere venduti, fino alla città di Cordoba, distante circa cinquanta chilometri. Ci andavano a piedi o con uno o più carri a quattro ruote, senza nessun tipo di sospensione, per cui il viaggio diveniva a volte una vera e propria odissea. Per guadagnarsi un poco di benessere in questo luogo si lavorava incessantemente, senza giornate di riposo e con orari inesorabili. Ognuno si applicava al suo lavoro secondo le proprie attitudini e secondo la tradizione della sua famiglia, di modo che nessun motivo estraneo turbava la vita della colonia.
A Colonia Caroya, come nelle pochissime altre parti in cui la popolazione fu di origine straniera, si ebbe la precisa intenzione di mantenere forme di vita proprie del paese che si era abbandonato, cioè del Friuli. Sempre, nelle varie fasi di questo sviluppo, gli abitanti di Colonia Caroya si sentirono orgogliosi della propria origine. Cambiarono le forme, cambiarono i mezzi, migliorò il tenore di vita, ma la mentalità resistette a qualsiasi trasformazione, anche a quelle più brusche.
Anche se argentini, i figli e i nipoti di coloro che popolarono Colonia Caroya nel 1878, oggi più di un secolo dopo, sentono ancora vibrare l’animo nel cantare le canzoni della terra dei loro padri. Una terra che, anche se non hanno mai conosciuta, è però presente nel loro gesti, nelle loro parole, nei loro sentimenti. Non potrebbe essere altrimenti se pensiamo che quando nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale, molti lasciarono Colonia Caroya per ritornare in Italia a difendere la patria dei loro padri.
Questa è Colonia Caroya, un paese cresciuto dal nulla. In un’epoca in cui in Friuli non c’era da mangiare per tutti, questa gente venne qui a piantare il proprio seme. Questo luogo stesso è la sintesi di come la capacità, la creatività dei coloni che partirono dalle terre italiane del Friuli e che si attaccarono in questo suolo argentino, ha potuto, unita alla speranza e alla forza di volontà, dare vita a una comunità veramente fondata sul lavoro. Essi qui veramente forgiarono un popolo.