Nei 700 anni dalla morte di Alighieri, l’associazione Clape promuove fra i corregionali nel mondo il grande poeta e linguista. Lo scrittore Giacomo Scotti rievoca il soggiorno istriano nell’esilio dantesco.
di GIACOMO SCOTTI
La leggenda di Dante Alighieri profugo per alcuni anni in Friuli e nella Venezia Giulia potrebbe rivelarsi tutt’altro che una leggenda. Passando attraverso le supposizioni storiche, era stata finora alimentata da eminenti filologi. Ora stanno cadendo anche gli ultimi dubbi.
Pare che il padre della nostra lingua sia veramente stato nella regione, peregrinando per circa quattro anni nell’Italia nord-orientale dopo aver lasciato Venezia, nel 1304. Resta, certo, un periodo oscuro in quanto Dante non ci ha lasciato notizie attendibili sul suo tragitto. Ma le diverse ipotesi avanzate per supplire alle lacune biografiche appaiono oggi più interessanti e non prive di fondatezza scientifica.
Gli studiosi “detectives” hanno innanzitutto trovato tracce di Dante a Trieste, nel goriziano, a Udine, Tolmino e Gemona fra il 1303 e il 1308. Non va dimenticato che il sommo poeta fu ospite, tra gli altri, di Gherardo da Camino, signore di Treviso e parente del conte di Gorizia Enrico II. Non è da escludersi, quindi, che una volta lasciata Gorizia o Trieste nel 1308, abbia vissuto per qualche tempo in Istria, regione che, nel De vulgari eloquentia, pone insieme al Friuli sul lato sinistro dell’Italia, nella cui mappa linguistica situa i dialetti (Ces fastu?) peraltro sgraditi al suo orecchio toscano.

DANTE. Immagini dal film Dante, per nostra fortuna, con la regia di Massimiliano Finazzer Flory. Il film racconta in 27 minuti e con 21 canti tra inferno, purgatorio e paradiso la Divina Commedia con la danza contemporanea e gli occhi di un bambino, attraverso la metafora del teatro.
L’Istria del tempo dantesco era la Marca Istriana di Ottone I, divisa fra possedimenti veneziani, possedimenti del Patriarcato di Aquileia e della Contea di Gorizia. E non a caso, coinvolgendo pure Trieste, Dante mette insieme aquileiesi, friulani e istriani. Ma che cosa poteva trovare in questa regione Dante, che aveva ereditato da Brunetto Latini una cultura di valori universali e certamente tendeva ai centri culturali di prestigio onde poter scontare l’esilio con l’appagamento intellettuale? Ebbene, il Friuli e l’Istria del XIV secolo avevano ben poco da invidiare a Padova o Firenze.
E se Trieste all’epoca era poco più di una borgata, il liceo di Capodistria era un centro culturale di fama europea e tappa quasi obbligata per i colti del tempo. Città fiorenti erano pure Parenzo e Rovigno. L’Istria umanissima e “nobilissima” richiamava parecchi uomini illustri, compresi i toscani. Basta ricordare Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, che decisero di compiere insieme un viaggio a Capodistria, nel 1363, per visitarvi le scuole.
C’è però chi individua la vera ragione del soggiorno di Dante in Istria in una realtà politico-economica del tempo. Ne Il soggiorno di Dante in Istria nell’ottobre del 1308 (Trieste, 1959), lo studioso Francesco Semi rileva che, cacciati dalla Toscana dopo gli avvenimenti che funestarono quella regione nel Duecento ed esiliati, nuovamente, con i bandi del 1309 e 1311, numerosissimi fiorentini lasciarono le loro città e si portarono a Venezia, nel Friuli e nell’Istria. E in Istria esercitarono la mercatura, il cambio e il credito.
Diversi finirono anche in Dalmazia. Investendo i loro capitali sulla sponda orientale dell’Adriatico, quei toscani favorirono il progresso economico e lo splendore umanistico delle città istriane nel XIV secolo. Il fior fiore della Toscana esiliata era presente in Istria ai primi del Trecento, in testa a tutti la famiglia Soldanieri, bandiera dell’alta finanza fiorentina che, dopo aver fondato banche a Venezia e a Udine, aprì un’importante filiale a Capodistria. In questa stessa città vivevano famiglie opulente: gli Abati, gli Accati, gli Scolari, i Tebaldini.
Questi ultimi, col negozio di stoffe, dal 1276 sotto la Loggia del palazzo comunale, importarono la moda toscana, che per secoli si impose nelle città istriane. A Trieste vivevano Albizzo e Neri Malaspini, compagni politici di Dante. A Pirano troviamo la famiglia Ristori, cui apparteneva Corso di Alberto Ristori, che nel 1302 era stato bandito da Firenze assieme a Dante e a un amico dello stesso Dante, Lapo Peroni.
A Pola Fu soprattutto grazie ai toscani che Trieste, come Capodistria e varie altre città istriane, si vide favorita nei primi decenni del secolo da un insperato benessere, frutto della creazione di una serie di industrie, specialmente attinenti ai panni e alle lanerie. I più ricchi vi avevano acquistato case e poderi, la maggior parte si era data al commercio all’ingrosso con Ferrara, Ragusa, con le Fiandre e perfino con l’Inghilterra. Facevano affari nel campo bancario dei panni, delle sete, dell’olio, dei legnami, del frumento, dei pellami e delle carni salate.
Qualcuno andò molto lontano, nelle terre di Croazia, dove troviamo un discendente degli stessi Alighieri, Niccolò Alighiero, che nel 1339 teneva una farmacia a Zagabria. Sapendo della presenza di tanti toscani nelle nostre terre, sembra difficile che Dante, una volta a Gorizia, non abbia sentito come una normale, umana esigenza, il desiderio di ritrovare un pezzo della sua Firenze in Istria, incontrandovi conoscenti, amici, compagni di sventura, che ben volentieri lo avrebbero aiutato anche economicamente (la fama di Dante poeta era già notevole a quell’epoca).

DANTE. Immagini dal film Dante, per nostra fortuna, con la regia di Massimiliano Finazzer Flory.
E se è arduo ricostruire oggi il suo itinerario istriano, è pur sempre possibile individuarne alcune tappe. Dante potrebbe essere arrivato in Istria direttamente dal Veneto, con una nave di linea Venezia-Capodistria, o attraverso il Friuli, sostando a Trieste, Capodistria e Pirano. È molto probabile che a Capodistria si sia fermato per un certo tempo, ospite dei figli di Tignoso Soldanieri.
È però da ritenersi quasi provato un suo lungo soggiorno a Parenzo, che può essere finalmente documentato. Infatti, in un atto del Liber II Jurium Episcopalium, carta 26 dell’archivio vescovile di Parenzo, è conservato un documento del 4 ottobre 1308 che dichiara testualmente: “Anno eiusdem millesimo/trecentesimo octavo, (…) / die quarto intranti mense / octobris, Parentii, sub / logia nova, praesentibus dominis / Danto tuscano / ha abitatori Parentii…”.
Dunque “Nell’anno millesimo trecentesimo ottavo, (…), nel quarto giorno del mese d’ottobre, a Parenzo, sotto la loggia nuova, alla presenza del signor Dante toscano, abitante a Parenzo…” il podestà Andrea Michiel indiceva un atto giuridico contro un pescatore di frodo parentino, giudicato e condannato pubblicamente alla presenza dei cittadini, dei notai, dei preconi e appunto di quel “Dante toscano” nominato per primo in quanto doveva essere considerato persona di altissimo prestigio politico e giuridico. Quale in effetti era. Il poeta, ammesso che fosse proprio lui, era ospite della nutrita colonia ecclesiastica toscana di Parenzo dove avrebbe preso parte a vicende pubbliche.
Un eventuale soggiorno istriano del “ghibellin fuggiasco” rimane comunque un’ipotesi verosimile peraltro riscontrabile negli stessi versi danteschi. Di conseguenza molti studiosi non esitano a ratificarla. Gli indizi ci sono tutti. Nel nono canto dell’Inferno, concepito esattamente dal 1307 al 1310, ai versi 113-117, Dante propone una delle sue frequenti similitudini per analogia nel descrivere il Cerchio degli Eretici, paragonandolo alla necropoli romana di “Pola, presso del Carnaro ch’Italia chiude e i suoi termini bagna”, dove “fanno i sepulcri tutt’il loco varo”.
Dante ebbe dunque modo di vedere i sepolcri della necropoli di Pola. Ai suoi tempi erano ancora ben visibili ed effettivamente il luogo era “vario”, disuguale, con quelle vestigia romane dislocate in ordine sparso. Secondo lo storico istriano Bernardo Benussi, Dante avrebbe potuto osservare la scena dei sepolcri polesi dal cenobio di San Michele in Monte dei Benedettini. Nel quadro infernale essi vengono situati presso una “grande campagna” (verso 110), che poteva corrispondere al Prà Grande che si estendeva appunto sotto il monastero di San Michele.
Solenne sarebbe stata l’accoglienza fatta a Dante a Pola, decantata da Monfiorito da Coderta, podestà fiorentino di madre polesana. Secondo alcuni venne ricevuto nel sontuoso palazzo dei Castropola, che dal 1294 avevano ricevuto il castello in feudo dal patriarca di Aquileia e dal 1305 la luogotenenza del marchesato d’Istria.

DANTE. Immagini dal film Dante, per nostra fortuna, con la regia di Massimiliano Finazzer Flory.
Alcuni anni dopo, Dante ritornava in Toscana, segnalato a Lucca nei primi mesi del 1309. Portò con sé il manoscritto del Purgatorio, probabilmente concepito proprio nelle terre del Friuli-Venezia Giulia e dell’Istria. In proposito il già citato Semi scrive: “Si è pensato che la vicinanza delle grotte carsiche di Postumia, San Sergio, San Servolo, vicino alle quali era il castello che avrebbe potuto ospitare degnamente Dante, non poteva sfuggire al Poeta e che da queste egli avrebbe potuto prendere ispirazioni per parecchie scene dell’Inferno. E gli spettacoli grandiosi e terrificanti dell’Inferno possono essere gli Antra Julia che, secondo l’epistola del Boccaccio al Petrarca, Dante visitò”.
Amico e probabile ospite del conte Enrico II di Gorizia, che possedeva feudi a Duino, Tolmino, Postumia e Cerknica, Dante potrebbe effettivamente aver visitato anche quei luoghi. Non a caso nel Tolminotto le leggende sulle “grotte di Dante” si sprecano. È certo che, sotto il profilo poetico nell’ambientazione dell’Inferno traspaiono i riflessi della fisionomia delle Alpi Giulie e del Carso. “Gli aspri pendii dei rilievi carsici e l’aridità dei loro scenari – scrisse qualche anno fa Alex Tich – insieme alla cupa limpidezza dei loro fiumi sotteranei e l’ insolita irruenza dei venti schiavi, come Dante chiamava i venti di bora da Nord-Est, sono elementi ampiamente ricorrenti nella topologia della prima cantica della Commedia. Ed è difficile che egli si sia richiamato ai nostri paesaggi sulla semplice scorta di notizie di seconda mano. Come altrimenti avrebbe potuto citare, nel canto XXXII, verso 28 dell’Inferno, quel Tambernicchi, cioè il monte Tambernich, tra Postumia e il lago Cerknica, che col gelo invernale diventa ‘di vetro, e non d’ acqua sembiante’ (verso 24), senza aver assistito allo spettacolo naturale?”
Sta il fatto che, richiamandosi a Dante, un Anonimo fiorentino volle precisare: “È una montagna in Schiavonia, et è altissima e tutta petrosa, che pare tutto un masso a vederla”. Un altro indizio della presenza di Dante in Istria e nella Venezia Giulia ci viene – come abbiamo già accennato – dal De vulgari eloquentia, laddove Dante accenna alla parlata istriana, ponendo gli abitanti di Aquileia e dell’Istria sulla stessa linea, accomunando gli uni e gli altri per la loro parlata aspra.
Molto probabilmente il poeta si riferiva al dialetto friulano di Trieste, di Muggia e dell’Istria settentrionale dell’epoca, ed alla parlata oggi definita dagli studiosi col nome di “istroromanzo” o “istrioto”, preveneta, in uso nell’Istria centrale e meridionale, dal Canale di Leme in giù, e della quale sono rimaste notevoli tracce tuttora a Rovigno, Valle, Dignano, Gallesano, Sissano, in parte a Orsera e nella stessa Pola. La frase di Dante “Post hos Aquilegenses et Ystrianos cribremus, qui Ces fas tu? Crudeliter accentuando eructant” perde così per noi ogni tono di dispregio per assumere il significato di alta testimonianza.
Un’altra testimonianza indiretta della presenza del grande fiorentino ci viene pure dall’interesse che, soprattutto in Istria, suscitarono le sue opere. Molto probabilmente circolavano fra i numerosi fuorusciti toscani – oltre una cinquantina, per l’esattezza, nella sola Istria e a Trieste, tra banchieri, industriali e mercanti – quivi stabilitisi dal 1286 in poi. Quell’interesse fu proposto e affermato da diversi cultori, tra cui spicca Pier Paolo Vergerio, tra scrittori e imitatori. Non fu un caso se Isola d’Istria divenne già dal XIV secolo un rinomato centro editoriale dantesco e contribuì alla diffusione della Commedia. A circa un settantennio dalla morte del Poeta, tra il 1394 e il 1399, il cancelliere del Comune di Isola, Pietro Campenni, copiò per ben due volte l’intero poema: una delle sue preziose copie è conservata alla Marciana di Venezia, l’altra alla Biblioteca Nazionale di Parigi.
Dante, per nostra fortuna:
l’evento speciale per i corregionali nel mondo
In occasione del Dantedì, dedicato ai 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, l’associazione Clape nel Mondo ha organizzato per i corregionali friulani e giuliani la performance straordinaria di Massimiliano Finazzer Flory.
Per iniziativa dell’associazione Clape, anche i friulani e giuliani nel mondo hanno potuto seguire, in occasione del “Dantedì” il film Dante, per nostra fortuna. Alle rappresentanze della comunità regionali degli emigrati all’estero è stato reso disponibile l’apposito link di Vimeo, accessibile dal 25 sino al 28 marzo. L’evento ha visto coinvolti, tramite la Farnesina, anche gli Istituti Italiani di Cultura per promuovere la lingua italiana nelle città di Mosca, Hong Kong, Malta, Buenos Aires, Istanbul, Santo Domingo, Manila, Malta, Oslo, Tel Aviv e Miami. Il filmato in 4K con la regia di Massimiliano Finazzer Flory, racconta in 27 minuti e con 21 canti tra inferno, purgatorio e paradiso la Divina Commedia, con la danza contemporanea e gli occhi di un bambino, attraverso la metafora del teatro.
Declinati con lo sguardo di un Dante giovane, innamorato della lettura, e con le coreografie di Michela Lucenti, è stata proposta l’esibizione solista della danzatrice del Teatro alla Scala, Maria Celeste Losa e dieci danzatori del Balletto Civile, in costume d’epoca, accompagnati dalla voce fuori campo di Finazzer Flory e Angelica Cacciapaglia, ora in prosa, ora in versi danteschi di alcuni dei Canti tra i più significativi del poema dantesco. Le scenografie digitali sono state tratte dalle illustrazioni di Gustave Doré, mentre la colonna sonora è stata composta ispirandosi ai segni e alle atmosfere dei Canti per restituire il senso dell’opera.
Si è voluto in tal modo far partecipare a un momento così significativo, nell’ambito delle celebrazioni internazionali dedicate ai 700 anni dalla scomparsa del sommo poeta, le numerose comunità dei corregionali che vivono nelle varie parti del mondo nel segno dei rafforzamento dei legami e della nostra identità culturale e linguistica. L’iniziativa si è collocata nel progetto Cercatori di memorie sostenuto dalla Regione FVG.