Il 23 giugno del 1946 un protocollo siglato dall’Italia prevede l’invio di 50 mila operai per le miniere in cambio di una fornitura garantita di carbone.
Nel secondo dopoguerra il Friuli Venezia Giulia è stata una delle regioni italiana ai primi posti per numero di emigranti in Belgio, rispetto al totale della propria popolazione. Ne furono coinvolti migliaia e migliaia di corregionali, in particolare delle Valli del Natisone e della Carnia, ma anche di tutte le altre province della regione. A determinare questo flusso consistente fu il trattato italo-belga, siglato il 23 giugno del 1946, che prevedeva che i lavoratori italiani, nel numero di 2 mila alla settimana, venissero destinati al lavoro nelle miniere di carbone assicurando in cambio una determinata quantità di carbone per ogni minatore inviato in Belgio.
La firma è stata ricordata il 23 giugno 2021 in un incontro a Trieste dall’associazione Clape nel Mondo, con la partecipazione dell’assessore regionale all’emigrazione, Pierpaolo Roberti, di testimoni che dopo il 1946 hanno vissuto in Belgio e ricordano le condizioni del tempo, dei rappresentanti dell’Associazione Slavia nel Mondo e della vice-presidente dell’Eraple, Bruna Zuccolin.
I lavori sono stati introdotti dal presidente della Clape, Lucio Gregoretti, che ha osservato come fra il ’46 e il ’57 in Belgio arrivarono 140 mila lavoratori italiani e tutt’ora le persone di origine italiana iscritte nell’Anagrafe degli Italiani all’Estero, l’AIRE, sono 235 mila, quasi il 5 per cento della popolazione di questo Paese.
Nell’atrio delle chiese, dei bar, dei luoghi pubblici dei nostri paesi, specie nei piccoli centri periferici della montagna, comparvero gli inviti a partire per i giovani sino a 35 anni d’età, con la promessa di contratti di lavoro allettanti, che tali non si rivelarono, in realtà, e che prevedevano di rimanere in miniera per 5 anni, con l’obbligo tassativo – pena l’arresto – di farne almeno uno. In tanti raccolsero l’invito e in Belgio si creò così una vera e propria comunità di corregionali friulani e giuliani.

ANNIVERSARIO. Il 23 giugno l’Associazione Clape nel Mondo ha ricordato i 75 anni dalla firma dell’accordo italo-belga del 1946 con un incontro all’hotel Excelsior Palace di Trieste, con l’assessore regionale all’emigrazione, Pierpaolo Roberti e rappresentanti dei corregionali che hanno conosciuto l’esperienza di lavoro nel Belgio. Fra questi Renato Chiarotto e Ferruccio Clavora, che hanno portato la loro testimonianza. L’incontro è stato aperto da Lucio Gregoretti, presidente della Clape. Presente, fra gli altri, Bruna Zuccolin, dell’Eraple. Nell’immagine, da sinistra, Lucio Gregoretti, l’assessore Pierpaolo Roberti e Ferruccio Clavora.
L’assessore regionale Pierpaolo Roberti ha ricordato l’accordo del 1946 come “preludio di una tragedia indimenticabile, che è quella di Marcinelle, una pagina dimenticata anche forse per l’imbarazzo di quello che si fece in quel periodo: già solo l’idea di dover barattare in qualche modo persone, esseri umani, in cambio dei sacchi di carbone è qualcosa che oggi mette i brividi”. “Certo, c’era un paese da ricostruire” ha proseguito Roberti, “ma è stato ricostruito anche sul sudore e sulle vite di questi uomini italiani in Belgio”.
Le pratiche del reclutamento esplicitamente previste nell’accordo siglato nel 1946 fissavano il fabbisogno di manodopera italiana nell’industria mineraria belga in 50 mila lavoratori (da trasferire in Belgio in numero di 2 mila alla settimana), con un’età massima di 35 anni e in buono stato di salute. La “filiera” del reclutamento era la seguente: i datori di lavoro belgi inviavano le offerte di impiego al Ministero del Lavoro italiano che le trasmetteva agli uffici di collocamento dei comuni. Qui le offerte di lavoro erano pubblicizzate da allettanti manifesti, affissi sulle piazze e nei bar di tutta la Penisola, che invitavano a partire per le miniere del Belgio e prospettavano al futuro emigrante favorevoli condizioni di lavoro e di alloggio.
Una volta individuato il candidato, iniziava la trafila delle visite mediche: la prima presso l’Ufficio Sanitario del comune di residenza, da dove i futuri migranti erano poi inviati presso l’Ufficio provinciale del Lavoro per un’ulteriore visita di controllo. I candidati ritenuti idonei erano trasferiti al Centro per l’emigrazione in Belgio di Milano, situato nei locali di un’ex caserma a Piazza Sant’Ambrogio, dove erano sottoposti alla selezione definitiva da parte della Commissione belga per l’immigrazione e al controllo incrociato della polizia belga e italiana. Dopo un viaggio in treno che può durare fino a 52 ore, raggiungono il bacino minerario di Charleroi e del Limburgo.
Da quell’esperienza, il legame con le migliaia di italiani di origine friulana e giuliana e dei loro discendenti presenti in Belgio si è consolidato e mantiene profonde radici. I nostri corregionali svolgono un ruolo importante nella società belga nel rispetto della dignità del lavoro e dell’ordinamento di quel Paese. La conferenza-stampa ha voluto essere un omaggio al lavoro dei corregionali all’estero, dove sono diventati parte onorata di tante nazioni.
“Planctus Aquileia”
portabandiera della cultura italiana nel mondo
“Planctus Aquileia”, progetto musicale del pianista compositore friulano Glauco Venier, è uno dei nuovi venti “portabandiera” della cultura italiana nel mondo selezionati dal ministero degli Esteri per sostenere la ripresa e il rilancio delle produzioni musicali italiane sui mercati internazionali dopo lo stop dovuto all’emergenza Covid-19.
La composizione, eredità di melodie sacre e profane rivisitate in chiave contemporanea, richiama e punta a valorizzare le radici e l’identità del Friuli Venezia Giulia, regione di frontiera, di cui Aquileia è simbolo cardine, un libro in pietra di una storia che abbraccia 22 secoli. Il progetto è frutto di una ricerca sulla vasta cultura musicale friulana attraverso la consultazione di antichi manoscritti e codici di tradizione aquileiese e melodie popolari, custoditi in vari siti storici del territorio tra i quali la Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli.
Glauco Venier ne ha rimodellato l’insieme di sequenze. La sua ri-scrittura compositiva con arrangiamenti originali rimane fedele alla base storica madre di una delle prime forme di polifonia e della moderna notazione musicale occidentale, oggi universalmente riconosciuta nelle “note”, il cui nome deriva da un inno a San Giovanni Battista, scritto dal friulano Paolo Diacono da Cividale e musicato da Guido D’Arezzo.
Promosso dalla Fondazione Bon, il progetto è stato scelto tra oltre 150 proposte inedite di musicisti e artisti di tutta Italia. Il lavoro è stato eseguito e registrato in audio e video nel suggestivo palcoscenico musivo della Basilica di Aquileia, gioiello della Roma antica in FVG e in Italia, cui la composizione si ispira.

GLAUCO VENIER. L’opera del pianista compositore friulano Glauco Venier è uno dei venti progetti musicali selezionati dal Ministero degli Esteri per sostenere la ripresa e il rilancio delle produzioni musicali italiane sui mercati internazionali, dopo lo stop dovuto all’emergenza Covid-19. Nelle immagini un momento dell’esibizione e Glauco Venier al pianoforte. Glauco Venier, nato a Sedegliano nel 1962, è apprezzato pianista e compositore italiano. Ha eseguito concerti in Italia, Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Svizzera, Inghilterra, Repubblica Ceca, Austria, Slovenia, Croazia, Russia, Belgio, Israele, Stati Uniti d’America, Australia, Corea, Giappone e Cina. Attualmente è insegnante presso il corso di jazz del Conservatorio Jacopo Tomadini di Udine. Nel 2008 l’album Distances di Venier è stato nominato alla 51ma edizione dei Grammy Awards, come miglior album jazz vocale.