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Categoria 9 Microcosmi 9 I fedelissimi di San Marco, ultimi alfieri della Serenissima

I fedelissimi di San Marco, ultimi alfieri della Serenissima

I fedelissimi di San Marco, ultimi alfieri della Serenissima

Gli antichi Cavalieri della Repubblica Veneziana lungo l’Adriatico e i 12 mila dalmati che formarono le Cernide che nel 1797 vennero a difendere Venezia.

di GIACOMO SCOTTI

Nel corso della sua storia, la Serenissima ebbe un solo ordine cavalleresco, quello dei Cavalieri di San Marco, istituito nel XV secolo. Veniva attribuito ai patrizi particolarmente meritevoli, a eminenti cittadini distintisi nei servizi diplomatici e come comandanti militari, ma anche in alti campi al servizio della Repubblica. I Cavalieri di famiglia gentilizia, oltre alle insegne, portavano la vesta dei zentilhuomini, una lussuosa toga con ornamenti d’oro per cui venivano chiamati anche Cavalieri della Stolla d’oro. Chi otteneva il titolo di cavaliere veniva automaticamente ammesso al patriziato, se già non ne avesse fatto parte, e godeva di particolari privilegi.

Mentre la Repubblica si avvia alla sua fine, è stupefacente constatare come gli uomini di mare delle Bocche di Cattaro si alternano in rapida successione nell’elenco dei Cavalieri di San Marco. Fatte pochissime eccezioni, infatti, dai primi decenni del Settecento in poi i Bocchesi sono sempre più presenti nei registri del cavalierato di uno Stato che sparirà dalla carta geografica e politica dell’Europa tre anni prima della chiusura del XVIII secolo.

Ai Perastini Bane, Bronza e Giocca, a Marco e Giuseppe Ivanovich di Dobrota e ad Antonio Zerman di Perzagno, si aggiungeranno nella seconda metà del secolo Nadal Radimiri di Dobrota e Matteo Ballovich di Perasto. Con loro ci saranno ancora due dalmati dei quali si ignora la piccola patria nella più grande di San Girolamo e un istriano. E proprio con Nadal Radimiri voglio iniziare la ricostruzione di questa storia.

Stemma dei Cavalieri di San Marco

CAVALIERI. Lo stemma riportato nelle vesti dei Cavalieri di San Marco.

 

IL VENTENNE RADIMIRI

Cominciamo con Nadal Radimiri di Dobrota, capitano della tartana „Madonna della Salute e San Francesco di Paola”. Fu nominato Cavaliere con decreto del Senato il 10 dicembre 1757, su segnalazione dei Cinque Savi alla Mercanzia, e confermato con Privilegio del doge Loredan del 14 giugno 1758. Degno della „dispensa del premio” destinato a „chi ne ha il diritto di conseguirlo per qualche distinta attione di buon servittio” fu ritenuto per aver strappato ai corsari un bastimento mercantile napoletano che era stato catturato nelle acque di Dulcigno (Ulcinj) da due galeotte tripoline. All’epoca il Radimiri aveva solo vent’anni di età.

Dunque „dirigendo la Tartana Madonna della Salute e San Francesco di Paula con Veneta Bandiera, il Capitan Nadal Radimiri” scoperse nelle acque di Dulcigno le due galeotte che avevano fatto preda del „Bastimento Napolitano denominato Marticano, con carico mercantile”, per cui decise di correre in suo aiuto e liberarlo. Lo fece, si legge nel Privilegio, „volontariamente, per solo istinto di valore ereditato dai suoi maggiori sempre segnalatisi né più difficili incontri” ed „intraprese la recupera del Bastimento medesimo”. Il „coraggioso attentato” gli riuscì „con aver battute e fugate le due galeotte corsare nonostante che fossero di gran lunga superiori di forze, e con aver espugnata poi la guarnigione (l’equipaggio) tripolina, che s’era impossessata del legno predato”. Il Nemico tentò pure di distruggere il bastimento napoletano appiccandogli il fuoco, ma il Radimiri riuscì ad estinguerlo „senza alcuna riserva al grave pericolo a cui si (es)poneva”.

Il testo del Privilegio continua, a commento dell’impresa: „Tanto avendo operato in una così completa vittoria nella prima sua età di circa 20 anni con raro esempio di coraggio e costanza nel sanguinoso conflitto, posponendo la propria vita e le sostanze di sua famiglia (il mercantile era di suo padre, ndr) all’impaziente zelo di così prode azzardo con onore di Veneta Insegna, e con tanto vantaggio di Bandiera amica, consegnando con animo grande il Bastimento recuperato e (il) suo carico a chi per proprietà apparteneva, cosicché il Senato Nostro, rilevando un fatto di tanta importanza e di circostanze così singolari…” eccetera, decretò „di decorare l’accennato Capitan Nadal Radimiri” col fregio e il titolo di Cavaliere di San Marco. 

Gentile Bellini: Processione della Vera Croce a Piazza San Marco a Venezia

CAVALIERI DI SAN MARCO. Gentile Bellini, Processione della Vera Croce a Piazza San Marco a Venezia, 1496, Galleria dell’Accademia.

 

NELLE ACQUE DI MALTA E DULCIGNO

In quell’epoca fu fatto cavaliere anche un non meglio identificato Giovan Maria Pedretti capitano della nave „San Zaccaria” e di altri legni, per avere affrontato vittoriosamente i corsari nelle acque di Malta nel 1747, nelle acque di Cerigo (Kìthira) nel 1752 e nello specchio di mare tra Modone e Navarino nel 1756. Molto probabilmente anche il Pedretti era un dalmato, ma non ne siamo sicuri, i documenti non indicano alcuna appartenenza, se non quella di suddito della Serenissima.

* * *

All’epoca del doge Alvise IV Mocenigo risale invece l’impresa del conte Matteo Ballovich di Perasto, capitano della nave „Tolleranza”, figlio di Cristoforo, insignito del titolo di Cavaliere di San Marco con Privilegio del 1767, lo stesso anno in cui sostenne un combattimento contro un legno corsaro. Purtroppo il testo del Privilegio non si è conservato e non si hanno notizie sulla sua investitura. Esistono soltanto un suo ritratto, conservato presso il Museo Marittimo di Perasto, nel quale il conte sfoggia l’insegna del Cavalierato. Dagli elementi in possesso del Museo, il conte capitano Ballovich del fu Cristoforo nacque nel 1713 e si spense nel 1794. Da parte nostra aggiungiamo che navigò i mari per quarant’anni e fu autore di alcuni testi sulla navigazione per il Nautico di Perasto, scritti in italiano.

* * *

Il 26 settembre 1786, all’epoca del doge Paolo Renier, l’ordine di Cavaliere di San Marco fu assegnato al capitano Giovanni Mecchiavich, del quale si sa soltanto che era dalmato, armatore e comandante della polacca Madonna di Marina, battente insegna veneta. Nel Privilegio firmato dal doge su decreto del Senato del 21 settembre, si dice che il suddetto capitano si rese „degno di onorevole rimostranza” per il valore dimostrato in uno scontro con un legno corsaro di di Dulcigno probabilmente quello stesso anno: „…Giovanni Mecchiavich fu Capitano della Veneta Polacca Madonna di Marina, lorché incontrato un grosso Sciambecco Dulcignotto superiore molto nel numero e nella forza” e da quello „aggredito, si oppose intrepidamente all’attacco, e per ben
due ore lo sostenne, finché perduta ogni difesa, fu costretto di cedere agli sforzi del Pirata, e ne vennero in seguito quelle dolorose vicende insuperabili da così fatale funesto infortunio” e cioè la schiavitù e le sofferenze patite fino a quando non venne riscattato. Il documento, però, non ce ne parla. Aggiunge soltanto che, nel concedere l’onorificenza di Cavaliere al capitano Mecchiavich, oltre al valore dimostrato nello scontro ed alle sofferenze subite, si tenne conto anche „delle benemerenze di sua Famiglia”.

Particolare della Processione della Vera Croce a Piazza San Marco a Venezia, di Gentile Bellini

CAVALIERI DI SAN MARCO. Particolare della Processione della Vera Croce a Piazza San Marco a Venezia, di Gentile Bellini, 1496, Galleria dell’Accademia.

 

ANCORA CORSARI E L’ULTIMO CAVALIERE

Porta la firma del doge Renier anche il Privilegio del 28 aprile 1788 con il quale, a conferma del decreto 23 febbraio 1787 del Senato, Cavaliere di San Marco fu nominato l’istriano di Cittanova Benedetto Adorno, capitano marittimo. Il documento offre una rapida descrizione del fatto senza indicare le acque in cui avvenne. Veniamo comunque a sapere che l’Adorno si rese „degno di onorevole rimostranza” per essere sfuggito alla cattura dei pirati del mare, battendosi valorosamente contro una loro nave, mettendola in fuga e riuscendo a liberare addirittura un altro legno veneto che stava per diventare preda dei corsari. Nell’originale: „Diede prove del suo zelo e coraggio battendosi con un legno Corsaro nemico, dalla fuga del quale ne derivò il merito di sottrarre altro legno suddito già disarmato e in evidente pericolo di restar preda dei Barbari”. Tutto ciò „diede motivo al Senato” – di proporlo al titolo di cavaliere.

L’ultimo Cavaliere di San Marco, e l’unica investitura di cavalierato nel dogado dell’ultimo doge della Serenissima Repubblica di Venezia, Lodovico Manin, con Privilegio del 9 giugno 1782 fu ancora un dalmato: il capitano marittimo Demetrio Giancovich, del quale però non vengono indicati il luogo di nascita né il nome del legno da lui comandato. Nel testo del privilegio, che conferma un decreto del Senato emesso lo stesso anno e mese, una settimana prima (2 giugno) si legge: „Si rese degna di particolar distinzione la capacità, e il valore del capitano Demetrio Giancovich, che con piccola polacca armata di solo dodici uomini ressistè ad un sciambecco tunisino di duecento persone di equipaggio, ed armata di venti pezzi di cannone, benché poi sopraffatto dal numero riportasse diverse ferite, tanto esso che tutto l’equipaggio, due dei quali mancarono anche di vita, abbia dovuto cedere alla sproporzione delle forze nemiche”.

Come si può vedere, la piccola polacca dalmata, il suo equipaggio e il capitano furono alla fine sopraffatti, con la morte di due uomini e il ferimento di tutti gli altri. Ma il loro valore fu grande. La strenua resistenza opposta agli assalitori, infatti, „costò la vita a cinquanta de’ nemici e quaranta restarono feriti”. Fatto prigioniero con i suoi uomini, Demetrio Giancovich subì una dura schiavitù dalla quale poté essere liberato con „un pesante dispendio per il riscatto della propria persona (e) del bastimento”. Non sempre si deve vincere per essere eroi.

Cavalieri di San Marco

CAVALIERI DI SAN MARCO. Momento di una cerimonia.

 

ALVISE VISCOVICH

Peccato che dopo la caduta della Serenissima Repubblica di Venezia, cancellata da Napoleone, non sia rimasto almeno l’Ordine dei Cavalieri di San Marco. Lo avrebbe meritato, per esempio, il comandante di quegli „Schiavoni” che la difesero disperatamente fino all’ultimo contro le truppe francesi; il loro fu l’ultimo fatto d’arme a difesa della Serenissima: lo scontro navale e con il vascello francese Liberateur d’Italia, che nello specchio d’acqua antistante il Lido fu „vittoriosamente fermato” da una galeotta comandata dal capitano Alvise Viscovich, composta da marinai delle Bocche di Cattaro. Il loro comandante era il fratello di Giuseppe Viscovich, Capitano-Podestà di Perasto che presto incontreremo.

Ricorda lo storico Praga: „Soltanto i marinai bocchesi al Lido, quasi di propria iniziativa, il 9 aprile (1797) si buttarono all’arrembaggio di una nave francese che, in dispregio di San Marco, aveva osato forzare il porto interno. Il mattino del 12 maggio le cernide vennero reimbarcate. Lo stesso giorno, sotto la pressione napoleonica, il Gran Consiglio abdicava”. C’è un solo errore: lo scontro ebbe luogo non il 9 ma il 20 aprile. „C’era ancora nell’aria il botto dei fucili dei fedelissimi Schiavoni allontanatisi a malincuore dal Palazzo Ducale” scriveva un altro storico, nostro contemporaneo, M. Isnenghi, nella postfazione al volume „La Grande Venezia” uscito a Venezia nel 2002.

Oltre al capitano Alvise Viscovich, avrebbe meritato l’Ordine di Cavaliere di San Marco e qualcosa di più anche suo fratello Giuseppe che, nella sua qualità di ultimo Capitano di Perasto, nell’atto di deporre il gonfalone di San Marco sotto l’altar maggiore della chiesa parrocchiale della sua città, alla quale per secoli era stato affidato il compito di custodire e difendere il vessillo di battaglia della nave ammiraglia della Serenissima, il 23 agosto le rivolse l’ultimo saluto. „Interpretando l’animo di tutti i dalmati”, tenne un discorso che ancora oggi commuove chi lo legge.

Cominciava così: „In sto amaro momento, che lacera el nostro cor, in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenissimo Dominio, al Gonfalon de la Serenissima Repubblica, ne sia de conforto, o cittadini, che la nostra condotta passada e de sti ultimi tempi, rende non solo più giusto sto atto fatal, ma virtuoso, ma doveroso per nu. Savarà da nu i nostri fioi, e la storia del zorno farà saver a tutta l’Europa, che Perasto ha degnamente sostenuto fin a l’ultimo l’onor del Veneto Gonfalon, onorandolo con sto atto solenne, e deponendolo bagnà del nostro universal amarissimo pianto (…)”.

Ed ecco un altro brano: „Per trecentosettantasette anni le nostre sostanze, el nostro sangue, le nostre vite le xe stae sempre per Ti, o San Marco; e fedelissimi sempre se avemo reputà Ti con nu, nu con Ti; e sempre con Ti sul mar nu semo stati illustri e vittoriosi. Nissun con Ti ne ha visto scampar, nissun con ti ne ha visti vinti e spaurosi! (…)”. „Ma za che altro non ne resta da far per Ti, el nostro cor sia l’onoratissima to tomba, e el più puro el più grande to elogio le nostre lagreme!”.

Nessun doge aveva mai scritto un elogio così alto nei testi dei Privilegi, come quello scritto dai più arditi marinai dalmati per la morte nemmeno tanto gloriosa della Serenissima. 

Lapide in ricordo dei valorosi soldati schiavoni

CAVALIERI DI SAN MARCO. La lapide ricorda i valorosi soldati schiavoni, che per secoli avevano dimostrato legami di fedeltà a Venezia.

 

LAPIDE SULLA RIVA DEGLI SCHIAVONI

Venezia, comunque, non ha dimenticato i suoi antichi cavalieri e i discendenti di quei 12.000 dalmati che formavano le Cernidi, ovvero i reggimenti „schiavoni” giunti a Venezia dall’opposta sponda dell’Adriatico nel 1797 per la sua difesa e che, nel maggio di quell’anno, furono costretti ad abbandonare la città su ingiunzione di Napoleone. In occasione del bicentenario di quella data „tremenda” nel 1997, sulla Riva degli Schiavoni fu collocata una lapide con il seguente testo: „Su questa riva i valorosi soldati Schiavoni… decisi a difendere Venezia… costretti da ingiunzione straniera ad abbandonare la città… espressero pubblicamente i plurisecolari legami di fedeltà … che univano la Dalmazia alla Repubblica Veneta”.

Sul sagrato della Chiesa di San Nicolò fu inaugurata un’altra lapide che dice: „Il 20 aprile 1797… all’entrata del porto del Lido… marinai delle Bocche di Cattaro… co-mandati dal Capitano Alvise Viscovich… reagirono vittoriosamente… alla provocazione navale francese… testimoniando la fedeltà dei Dalmati a Venezia… Ultimo fatto d’arme della Serenissima”. Ai lati dell’iscrizione, a mo’ di firma, si leggono: „Ti con nu” e „Nu con ti”, l’espressione usata da Giuseppe Viscovich nel discorso di saluto al gonfalone.

Oggi Venezia è città gemellata con Perasto e Cattaro, e ogni anno, nel giorno della Festa della Sensa che ricorre in maggio, celebra il „Gemellaggio Adriatico” con i Bocchesi. Ogni anno, dal 2005, nel mese di maggio arrivano a Venezia gli eredi degli ultimi e valorosi difensori della Serenissima vestendo le uniformi dell’antichissima „Marinarezza Bocchese”, forse la più antica confraternita marinara del mondo, splendenti costumi nero-oro del Settecento. Tornano ogni anno nei luoghi simbolici della fratellanza italo-slava sull’Adriatico: Piazza San Marco, San Nicolò del Lido, l’Arsenale, la Riva degli Schiavoni.

 

Nella Dalmazia veneta al grido di “Viva San Marco”

 

I trecento anni, 1715-2015, dall’eroica resistenza della piccola fortezza Veneta di Signa, posta nell’entroterra della contea di Spalato, in Dalmazia, sono stati ricordati nella storica cittadina. Il 15 agosto 1715 durante la seconda Guerra di Morea, truppe turche provenienti dalla Bossina (Bosnia), circa 40.000 uomini, cercarono invano di conquistare la piccola fortificazione che sbarrava loro la strada per la città di Spalato.

In 7 giorni la guarnigione, 800 valorosi Morlacchi ed il loro Veneto Provveditore Giorgio Baldi, subì 12 cruenti assalti, sinché i turchi si ritirarono, inseguiti dalla cavalleria veneziana. Ancor oggi nel borgo, si conserva l’usanza annuale di una giostra a cavallo, che in passato sterminava con un “VIVA SAN MARCO”, ripetuto tre volte da tutti i cavalieri. Alle ore 2 pomeridiane, sulla strada cittadina che conduce a Spalato, i cavalieri spronano i loro cavalli al galoppo, mentre con una lancia cercano di centrare il bersaglio appeso ad una corda.

 

Rievocazione storia alla fortezza veneta di Signa

RICORRENZA. Un’immagine della rievocazione della giostra a cavallo nell’edizione del 2015, in occasione della ricorrenza dei trecento anni dalla resistenza della fortezza veneta di Signa.

 

 

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