Le fortificazioni a scopo difensivo nelle realtà urbane del Friuli medievale presuppongono, in tempi nei quali sono frequenti i conflitti, la presenza di un corpo stabile di sorveglianza e difesa prevalentemente su base volontaria.
di MARIO SALVALAGGIO
Le Città Murate del Friuli si avvalsero di un particolare sistema di difesa civico. Nel XV secolo la Serenissima Repubblica di Venezia ebbe a costituire nei suoi domini di terraferma una milizia popolare denominata Cernide (dal latino cernere “scegliere”). Se ciò costituì una novità per le campagne, non lo fu per le città murate friulane.
Esistevano infatti già, come nelle altre città del Veneto, delle milizie di difesa variamente chiamate cittadine, urbane, popolari e, più tardi, dagli storici, borghesi. Si trattava di un anticipo della lista di leva, delle quali ancora si ritrova traccia: „scribantur nomina et cognomina singulorum et arma que portabunt” (Joppi). La presenza delle mura e delle fortificazioni a scopo difensivo nelle realtà urbane del Friuli medievale presuppongono, in tempi nei quali sono frequenti i conflitti, specie feudali, la presenza e l’utilizzo, quando necessario, di un corpo stabile di sorveglianza e difesa, solitamente su base volontaria e solo in casi straordinari di „assoldati” (da soldum “a pagamento”).
Le opere murarie da sé, infatti, non bastano perché la loro efficacia dipende sempre dall’uso che ne fanno gli uomini, serrati all’interno, per respingere gli assalti ostili e togliere l’assedio. Per questo motivo chi veniva chiamato alla difesa non solo doveva essere abile nell’uso delle armi, ma anche fermo di carattere, in quanto si trovava a combattere a breve distanza dal nemico ed a subirne tutte le pressioni psicologiche. Tutte le città murate friulane nel basso Medioevo disponevano di un piccolo esercito di difensori, che dall’alto delle mura erano chiamati a rintuzzare tutti i tentativi del nemico di penetrare in città sia attraverso il lancio di proiettili sia attraverso altre strategie.
Lo stare in alto avvantaggia i difensori, sottraendoli al corpo a corpo, e dà maggiore efficacia ai loro proiettili, che per il loro stesso peso in caduta acquistano maggior velocità. Questo tipo di difesa viene detto difesa piombante e si serve delle sporgenze delle mura verso l’esterno (bertesche). Un altro sistema di difesa era l’usare macchine da lancio, come le balestre da torre, per distruggere le macchine d’assedio nemiche. Più praticati erano i tiri con l’arco e balestre manuali con la tattica detta del tiro ficcante oppure del tiro fiancheggiante che rendeva inutile per l’assalitore portare lo scudo.

CERNIDE. Il Conte Perez guida le milizie popolari (cernide) all’assalto di Castel San Pietro, che dalla collina domina Verona. Tavola di Giorgio Sartor.
La difesa era organizzata dalle magistrature reggenti la vita cittadina. I gruppi armati sono composti, a seconda dei casi, da dieci a venti persone appartenenti alla stessa zona della città ed alla stessa arte con una età che va dai 16 ai 40 anni. Ad un richiamo particolare della campana civica i volontari si armano con le armi custodite da ciascuno in casa, si abbigliano per la difesa con cotte, elmi, livree e si adunano in tempi brevissimi agli ordini di un sergente. In caso di assedio sono pronti a prendere posizione sulle mura perché ciascuno sa dove è il suo posto e cosa deve fare. Questa prontezza è dovuta al senso che ciascuno ha del dovere di salvare casa e bottega. È un patto cittadino che si basa anche sull’orgoglio dell’appartenenza e si manifesta con l’esibire un gonfalone.
La comunità urbana medievale friulana si organizza così per evitare che la propria libertà e, soprattutto gli interessi economici che essa rappresenta, vengano meno con il prevalere di un nemico esterno. Viene quindi stabilito in ciascuna di esse, a partire da un piccolo esercito (Burgerwehr) pronto, dall’alto delle mura, a colpire i nemici che le tentano di forzare o scalandole, o aprendo una breccia con le macchine che lanciano proiettili, o usando testuggini contro le porte. In tempi normali questi armati servono per la sorveglianza degli ingressi, per „filtrare” persone indesiderate o malate e soprattutto per riscuotere gli incassi sulle imposte. „Tot cives tot milites” è un detto del tempo.
L’armamento delle milizie cittadine nel basso Medioevo è quello tipico delle fanterie del tempo: spada, lancia e scudo. Così anche l’abbigliamento prevede elmi di diversa fattura, maglie di ferro coperte da cuoio, elementi in metallo a protezione dei punti deboli. Specializzati, invece, sono gli arcieri ed i balestrieri, le cui frecce colpiscono i nemici uno ad uno con precisione grazie all’addestramento settimanale. Questa assiduità fa sì che in talune realtà nasca una vera e propria „scuola”, vale a dire una associazione professionale religiosa affidata alla protezione di alcuni santi, fra i quali san Sebastiano per gli arcieri o santa Barbara per quanti lanciano proiettili infuocati. Per la fanteria, invece, l’adunata è mensile.

Ci si allena la domenica a tirar frecce durante quelle che vengono già chiamate mostre, anche per verificare l’efficienza delle armi che ciascuno tiene in casa: „homines tenentur habere arma in domibus suis. Quamplures cives, precipue milites”: con l’andar del tempo e con la frequenza degli scontri alcuni gruppi finiscono ad esercitare più l’arte della guerra che il mestiere cosicché vengono remunerati, diventando i principali attori di tutte le azioni di guerra promosse dal comune. La presenza di cavalieri nelle città è rara perché sono finalizzati a compiere delle sortite a sorpresa e soprattutto perché costano troppo.
Le milizie volontarie erano espressione della comunità retta dalla vicinia o da altra assemblea locale dei cittadini, che forniva all’esercito cittadino fanti e balestrieri, le sentinelle che vegliavano la notte sulle mura, guardie che facevano la ronda notturna per le strade (custodes). I più giovani partecipavano con entusiasmo a gare di ogni genere con i coetanei delle altre contrade a scopo di addestramento sportivo e militare. Solitamente a capo della milizia volontaria cittadina vi è un capitano (Hauptmann), una persona che ha una esperienza professionale del mestiere delle armi, il quale giura ai cives che l’hanno scelto di mantenere „civitatis integritatem et civium universorum incolumitatem”. È aiutato da un tenente (Stadthalter) e da dei sergenti.

CERNIDE. Il ritratto del Maggiore Doretti, a capo di un reparto di Cernide.
Le fonti narrative del basso Medioevo in Friuli generalmente non descrivono l’organizzazione militare delle città, i metodi di reclutamento degli eserciti urbani, la struttura dei reparti e le diverse funzioni a cui erano assegnati, né disponiamo di documentazione pubblica e privata, che potrebbe almeno permettere di formulare alcune ipotesi. Le poche notizie a nostra disposizione sono tramandate in alcune fonti narrative che gettano deboli sprazzi di luce ma, proprio perché conservate in tale tipologia di fonti, esse non rappresentano automaticamente una descrizione della realtà, quanto magari l’ostentazione dell’autore nel padroneggiare e copiare testi precedenti, o la sua volontà di accrescere i meriti della sua parte politica e della sua città. Nel corso dell’XI secolo e dei successivi aumentano le attestazioni nelle fonti storiografiche di eserciti urbani, impegnati a combattersi al loro interno (tra „capitanei… milites” e „populus”), pro o contro l’imperatore o i feudatari o i conti di Gorizia o gli stessi Patriarchi, e soprattutto in vere e proprie guerre tra città, come quella lunghissima fra Udine e Cividale del XIV secolo.
All’interno delle città medievali friulane la leva militare è generalmente obbligatoria e avviene per censo e su base urbana; tra i richiamati a disposizione dell’ufficiale pubblico una parte (generalmente gli appiedati) rimane in città per la difesa delle mura („vigiliae, sculcae, custodia, excubiae”), una parte (più probabilmente i cavalieri ed i balestrieri) segue i comandanti nelle spedizioni esterne e per unirsi all’esercito patriarcale. L’obbligatorietà del servizio militare urbano, attestata in tutti gli statuti cittadini di età comunale, costituisce la diretta prosecuzione dell’heribannum carolingio, ovvero l’obbligo di servire nell’esercito per quaranta giorni all’anno, indicativamente la medesima durata del servizio militare a cui sono tenuti i cives in età comunale.
I mercenari, invece, erano uomini che vivevano del mestiere della spada, che sulla loro capacità di combattere avevano costruito la loro fortuna e il loro status sociale e che dai redditi della guerra traevano una buona parte delle loro ricchezza. Veri professionisti della guerra, essi erano noti soprattutto per la loro capacità di muoversi in nuclei estremamente compatti sicché, stretti attorno ai loro vessilli a gruppi di venti o trenta, andavano all’assalto senza disperdersi ottenendo un positivo effetto della carica.

SAVORGNAN. La parte più antica del palazzo costruito a Flambro dopo la concessione a Gerolamo Savorgnan del feudo di Belgrado (1515).
L’assedio è comunque la circostanza più temuta e la fondamentale divisione tra combattenti e non combattenti (inermes), centrale dal punto di vista giuridico non meno che sul piano militare, perde di significato, perché di fronte ad un assedio a tutti i cittadini viene chiesta una prova di resistenza nei confronti del nemico. L’unica alternativa alla resistenza delle milizie popolari deriva da un aiuto dal cielo, dal santo o dai santi protettori della città ed è ciò che spesso avviene quando gli assalitori si stancano prima dei difensori e si ritirano.
Naturalmente agli occhi di Dante Alighieri gli eserciti della città murate del Friuli sarebbero apparsi esigui rispetto a quelli delle città in cui ha passato il suo esilio ed anche rispetto alle formazioni cui egli aveva partecipato nella sua Firenze. Solo Udine e Cividale nella loro lunga guerra nel XIV secolo hanno avuto una milizia cittadina consistente, ma in gran parte rafforzata da soldati di mestiere, anticipando quelle che saranno le guerre rinascimentali. Infatti Venezia userà le milizie cittadine e rurali solo come tattica, lasciando il far la guerra alle condotte mercenarie.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
J. Bradbury, The medieval siege, Woodbridge, 1992
P. Marz, Le milizie del Comune di Trieste dal 1300 al 1550, Udine, 2002
H.C. Peyer, Città e santi patroni nell’Italia medievale, Firenze, 1998
AA. Settia, Comuni in guerra. Armi ed eserciti nell’Italia delle città, Bologna, 1993

CERNIDE. Particolare dei magazzini settentrionali dell’antico Palazzo Savorgan a Flambro, con lo stemma collocato sulla facciata.
Nel feudo di Belgrado e nella Bassa Friulana
La sempre più approfondita conoscenza del territorio della Bassa Friulana e della sua storia ci porta ad affrontare argomenti nuovi ed interessanti in grado di ampliare gli orizzonti delle nostre comunità, affinché il passato abbia l’attenzione che merita nel mantenere e difendere un senso di appartenenza e di identità.
È nata così l’idea di trattare di un argomento che più volte è stato sfiorato nelle ricerche, ma mai è stato direttamente affrontato, soprattutto per quanto riguarda il contado di Belgrado, sottoposto alla signoria dei Savorgnan. Quelli di Belgrado e Castelnovo erano feudi “privilegiati”: le sentenze non venivano, cioè, appellate davanti al Luogotenente di Udine, ma venivano giudicate direttamente dalle magistrature veneziane.
La giurisdizione civile e criminale erano esercitate fino al terzo grado tramite un capitano, giudici e cancellieri (mistoimperio). In questi feudi i Savorgnan esercitavano quindi amplissimi privilegi e poteri rilevanti, gli stessi che i feudatari precedenti, i conti di Gorizia, avevano esercitato come Conti Palatini o che avevano strappato al Patriarca.
Le milizie contadine sono state presenti per circa quattro secoli e le testimonianze su di esse riguardano pochi episodi guerreschi, ma molto di più l’aspetto curioso di una ritualità consolidata che il Nievo, nel suo romanzo, presenta come una delle prove della decadenza veneziana alla vigilia di un cambiamento totale portato dalle armi francesi, motivate dallo spirito rivoluzionario. Si lega a tutto ciò lo specifico apporto che ogni paese offre alla storia delle cernide con testimonianze talora simili fra loro, talora originali come nel caso di Flambro.
Dalla narrazione restano ovviamente escluse gran parte delle località che conservano la sovranità imperiale. Nel libro vengono infatti citati solo alcuni territori imperiali della Bassa. Il Goriziano meriterebbe d’essere studiato molto più approfonditamente, come la Terra della Tisana sottoposta alla signoria dei Vendramin e dei loro eredi.