Per Lev Tolstoj la felicità non dipende dalle cose esterne, ma dal modo in cui le vediamo e il vivere in contraddizione con la propria ragione è la morale più intollerabile.
di LIA SILVIA GREGORETTI
Un nuovo inizio è il segno che molti pensatori hanno inteso dare alla stagione che stiamo attraversando dopo il tempo delle restrizioni legate alla pandemia. Ma è proprio così? Le buone intenzioni sbandierate sui social nei periodi di lockdown come sono finite? E siamo davvero usciti e possiamo tornare a essere quelli di prima o qualcosa è cambiato? Troppo presto per trarre conclusioni ma qualche riflessione si può fare.
Innanzi tutto viene da chiedersi donde nasca l’abitudine dei buoni propositi: è un antico rituale religioso risalente ai romani, che cercavano di propiziarsi gli dei con gesti a loro graditi. Nella cultura odierna, invece, è ormai un leitmotiv degli ultimi anni il miglioramento personale, che passa attraverso cambiamenti da apportare su di sé. Sicuramente uno dei propulsori è l’idea darwiniana di competizione motivata dalla ricerca di cibo, competizione che diventa anche estetica, per la sopravvivenza della specie. Ma è tutto qui? Secondo lo psicologo Abraham Maslow, celebre per la sua piramide dei bisogni, non è così. (1).
La teoria, formulata negli anni ’50, prevede che i bisogni dell’essere umano siano strutturati come una piramide con alla base quelli primari come cibo e sonno, fino a salire verso necessità più sociali, meno necessarie fisiologicamente ma sempre più legate al benessere psicologico dell’uomo. In cima, troviamo il bisogno di autorealizzazione, forse il meno necessario ma il più importante per la gratificazione dell’esistenza. Per Maslow, questo gradino viene raggiunto grazie all’amore e alla bellezza e l’essere che vi arriva si distingue per tutta una serie di qualità, prima fra tutti la creatività.
Più pessimista invece Lev Tolstoj, che vede l’essere umano del suo tempo inesorabilmente imbrigliato in un obnubilamento da sostanze che sollevano dall’ascolto della voce della coscienza: „L’umanità del nostro tempo è decisamente rimasta impigliata in qualcosa. Sembra esserci qualche ragione esterna che impedisce di stare in una situazione consona alla propria coscienza. E questa ragione è quello stato fisico di stupore, in cui la stragrande maggioranza delle persone nel nostro mondo ricade con vino e tabacco (2)”. La sua speranza era risposta in un vento di cambiamento che sentiva nell’aria.

TOLSTOJ. i.E. Repin, “Aratro. Lev Tolstoj su terra arabile”, 1887, a Yasnaya Polyana, casa museo dello scrittore Lev Tolstoj. Divenuto celebre in patria grazie a una serie di racconti giovanili sulla realtà della guerra, il nome di Tolstoj ha acquisito risonanza mondiale per il successo dei romanzi Guerra e pace e Anna Karenina, a cui seguirono altre sue opere narrative sempre più rivolte all’introspezione dei personaggi e alla riflessione morale.
Non si può giudicare se cambiando, in questi decenni, l’uomo sia migliorato: ciò che grazie alle neuroscienze sappiamo oggi è come l’uomo cambia abitudini. Innanzitutto partiamo dal concetto di dopamina, neurotrasmettitore secreto nel momento del piacere, al primo sorso di birra, la caffè del mattino, una tirata di sigaretta, lo strisciare la carta di credito. Se questi comportamenti sono solo una piacevole abitudine e non assumono la tonalità della dipendenza, si può provare a cambiarli con la forza di volontà, ma perché è così difficile, perché i buoni propositi falliscono, sebbene non falliamo mai di riproporceli ad ogni stagione? Le neuroscienze
hanno anche questa risposta.
Prendiamo l’andare al lavoro alla mattina, spesse volte ci si trova davanti all’ufficio dimenticando di aver percorso la strada, in quel momento „non c’eravamo”, siamo stati guidati da un pilota automatico. Siamo così abituati a percorrere la stessa strada, che non ce ne rendiamo conto. Allo stesso modo viaggiano gli impulsi elettrici nel nostro cervello, scegliendo sempre la strada con minor resistenza, che è quella più percorsa, ovvero è come quando su di una strada si formano dei solchi a suon di percorrere sempre lo stesso tratto. Per cui il cervello è abituato a dare sempre le stesse risposte agli stimoli, perché è la strada più rapida, più comoda, più automatica.
Se decidiamo di cambiare strada per andare al lavoro, abbiamo bisogno di maggiore attenzione, di ricalcolare i tempi, è una spesa. Quindi è facile abbandonarla per ripercorrere panorami familiari. Alla stessa maniera funziona un’abitudine: ci vuole consapevolezza per accorgersi di quando scatta il comportamento abitudinario e farsi forza per scardinarlo. La mente opporrà resistenze, tenderà ad accendere i consueti percorsi sinaptici. Così la prossima volta che si sentirà la voglia automatica di un dolcetto dopocena, si potrà riconoscere che non è la nostra gola, ma il cervello a portarci al frigo. Ma a quell’ora tarda la forza di volontà si sarà già coricata.
NOTE
1. Abraham H. Maslow, Motivazione e personalità, ed. Armando Editore, 2010
2. Lev Tolstoj, Perché la gente si droga? E altri saggi su società, politica, religione, ed. Arnoldo Mondadori

TOLSTOJ. Leone Tolstoj con la sua famiglia sotto l’albero dei poveri, 23 settembre 1899. In piedi: Nikolai Leonidovich Obolensky (figlio della nipote di Tolstoj, Elizaveta Valerianovna Obolenskaya, dal 2 giugno 1897 marito di Maria Lvovna Tolstoy), Sofia Nikolaevna Tolstaya (nuora di Leo Tolstoy, dal 1888 moglie di suo figlio Ilya) e Alessandra Lvovna Tolstaya. Da sinistra a destra seduti: nipoti Anna e Mikhail Ilyich Tolstoy, Maria Lvovna Obolenskaya (figlia), Lev Nikolaevich Tolstoy, Sofya Andreevna Tolstaya con suo nipote Andrei Ilyich Tolstoy, Tatyana Lvovna Sukhotina con Volodya (Ilyich) tra le sue braccia, Nagor Valenova nipote di Leo, la figlia maggiore di sua sorella Maria Nikolaevna Tolstoy), Olga Konstantinovna Tolstaya (moglie di Andrei Lvovich Tolstoy), Andrei Lvovich Tolstoy con Ilya Ilyich Tolstoy (nipote di Leo Nikolaevich Tolstoy). Museo Statale Lev Tolstoj.