L’epopea dei corregionali in Belgio a 75 anni di distanza dall’accordo del 1946 raccontata in un libro di Clavora, Gregoretti e Pinat. In base a quell’intesa partirono sino a 5 mila lavoratori a settimana in cambio di 200 chilogrammi di carbone per ognuno di essi.
A 75 anni dalla firma dell’accordo italobelga che prevedeva la consegna di 200 chilogrammi al giorno di carbone per ogni italiano inviato a lavorare nelle miniere delle Fiandre e della Vallonia, la Clape, uno degli enti riconosciuti che si occupano dei corregionali all’estero, ha realizzato un pregevole volume ricco di fotografie, documenti e testimonianze personali per rievocare quell’esperienza di tanti friulani e giuliani, la cui presenza è ancora parte vitale di quel Paese.
Ne sono autori Lucio Gregoretti, Ferruccio Clavora e Romeo Pignat che, partendo proprio dalla firma dell’intesa del 23 giugno 1946, analizzano le vicende di quel periodo sino alla tristemente famosa tragedia di Marcinelle, l’8 agosto 1956, che fece emergere le condizioni di assoluto disagio attraversato nei dieci anni precedenti da migliaia di famiglie, molte delle quali provenienti dalle zone più povere della nostra regione, dalla Carnia e della Val Canale, ma anche da vari centri dell’Isontino e dell’attuale Pordenonese. Dall’Italia in Belgio arrivarono sino a 5 mila lavoratori alla settimana: fra il 1946 e il 1960 il numero complessivo raggiunse quasi il mezzo milione.
Ma di quello scambio „uomo-carbone” si è cercato, nel tempo, di cancellare ogni traccia rendendo in tal modo incomprensibili le dinamiche del disastro del 1956, in cui persero la vita 262 persone, senza che emergessero i responsabili e che era stato preceduto da altri 500 ripetuti incidenti in varie miniere. Il volume, frutto di una accurata ricerca, diventa pertanto un racconto e un documento vivo e pregevole per ridare il senso al carattere e all’impegno di una generazione sacrificata dalle difficoltà nelle quali si erano trovati l’Italia e il Friuli Venezia Giulia, in particolare dopo la seconda Guerra Mondiale.

Scrive Ferruccio Clavora: „Illustrare il contesto politico e socio-economico europeo dell’immediato secondo dopoguerra e le concrete condizioni di lavoro dei minatori nei charbonnages (miniere di carbone) del Belgio conduce inevitabilmente non solo ad allargare l’orizzonte investigativo e a fare confronti con le situazioni che si registrano ancora oggi in varie aree del Pianeta, ma anche a ricostruire la straordinaria sequenza di migrazioni fuori dall’Africa che, in due milioni di anni, hanno portato l’Homo sapiens ad abitare in tutti i continenti, tranne l’Antartide.”
„Le pagine che raccontano le avventure che hanno visto coinvolti i loro nonni sono un invito rivolto alle giovani generazioni a riflettere e a prendere coscienza che la Migrazione è una caratteristica fondativa dell’Homo sapiens e che, quindi, non ha alcun senso interpretare i flussi migratori contemporanei come se fossero un evento eccezionale, una contingenza del momento, un’emergenza. Per quanto riguarda specificatamente il Friuli, come non ricordare i protagonisti d’indimenticabili capitoli della storia di questa avara terra di confine: dai cramârs agli scalpellini; dagli operai specializzati, impegnati nella costruzione della Transiberiana lungo le rive del lago Bajkal, ai bambini delle fornaci della Baviera; dai costruttori chiamati a realizzare le grandi opere della Mitteleuropa ai fondatori di Colonia Caroya, Resistencia o Avellaneda; dai conquistatori delle sperdute distese del Nord America ai minatori del grigio Belgio; dal ridente Ticino al problematico Sudafrica e alla lontanissima Australia. Dalla Carnia alla Pedemontana pordenonese, dalle Valli del Natisone alla Bassa. Dai tempi del Patriarca Fortunato alla Serenissima; dall’Unità d’Italia ai giorni d’oggi. L’emigrazione è un’invariante della storia di un Friuli che ha pacificamente ’conquistato’ oltre cento paesi in tutti i continenti.”

MINATORI. Gruppo di minatori con Fiorello Cartelli di Tramonti di Sopra (Pordenone) e Valdi Scarpin di Medea (Gorizia) a Forchies la Marche (Hainaut), 1960.
A sua volta Romeo Pignat analizza l’evoluzione del lavoro delle miniere che in passato ha connotato la nostra emigrazione e che oggi rappresentano ancora „l’inferno di altri schiavi”: „Le miniere sono state le nostre radici. Come la polenta e le rape, hanno alimentato i nostri secoli di fatica e di speranza. La storia dell’uomo è nata dalle mani di Dio che diede forma alla polvere: Adamo è Adhāmāh, il ‘suolo’. La storia della nostra terra è entrata e uscita dal ventre della nostra terra. Le miniere e la metallurgia delle Alpi orientali sono state pane quotidiano per i suoi popoli: dai veneti di Zoldo agli sloveni di Kropa, ai friulani della Carnia e delle Alpi Giulie.”
„Canale del Ferro, Rio Plumbs: i nostri luoghi hanno nomi minerali. Forni Savorgnani, Forni Avoltri, Poffabro: i nostri luoghi parlano di fusioni e di metalli domati. Siamo stati l’argento di Agordo, il mercurio di Idria, il rame del Monte Avanza, il piombo e lo zinco di Cave del Predil, il carbone di Cludinico e di Arsia, oggi in Croazia, ma già comune della Venezia Giulia ai tempi della sua massima gloria mineraria. Alle scuole elementari degli anni Sessanta, nonostante si continuasse a ripetere che l’Italia era povera di risorse del sottosuolo, imparavamo con orgoglio di essere tra i primi produttori al mondo di mercurio e, quando si misurava la febbre, l’immaginazione galoppava verso il Monte Amiata, vicino ai soffioni boraciferi di Larderello. Le nostre fantasie vagavano tra visioni cavernicole, geyser nostrani e laboriosi paesaggi industriali. Oggi, quanti bambini italiani di quell’età sono in grado di comprendere il nesso tra i minerali grezzi di una miniera e il metallo scintillante di un’automobile? Di annusare la faticosa concretezza di questo mondo?”
„Con il trascorrere del tempo le miniere italiane cominciarono, tuttavia, a scomparire, spesso per naturale esaurimento dei giacimenti minerali, molto più spesso vittime di un paradosso: la crescente produzione industriale del boom economico preferiva minerali provenienti da altri Paesi, prodotti a costi più convenienti, piuttosto che quelli estratti a caro prezzo a casa nostra. Non sparirono, tuttavia, i minatori: diventarono migranti. Quel dannato lavoro che per secoli ci aveva legato alle nostre radici più profonde, avrebbe spinto centinaia di migliaia di giovani italiani a cercare un po’ di luce economica nelle viscere della terra in giro per il mondo: dal Belgio al Sudafrica, dal Canada all’Australia”.

MINATORI. Festa tra gli operai della fornace di Hennuyères (Hainaut), 1945-1950.
Parte significativa del libro, titolato Carbone, pane e dignità, è dedicata a rappresentare le traversie, le ansie e le aspettative deluse del viaggio verso l’ignoto di tanti corregionali che si trasformerà nella ricostruzione di una nuova vita che viene fatta conoscere attraverso le tante immagini che mostrano l’affermazione sociale e un crescente benessere.
Ricorda Lucio Gregoretti: „Dopo l’accordo del 23 giugno 1946, nelle nostre zone più povere furono affissi i cosiddetti manifesti rosa, dove si invogliavano le persone a trasferirsi in Belgio a lavorare sottoterra in cambio di un ottimo e sicuro salario, ferie pagate, assegni familiari e alloggi adeguati anche per i familiari, con la solenne promessa di andare in pensione molto prima del previsto. Nell’atrio delle chiese, dei bar, dei luoghi pubblici dei nostri paesi, specie nei piccoli centri periferici, comparvero gli inviti a partire per i giovani sino a 35 anni d’età, con la promessa di contratti di lavoro allettanti, che tali non si rivelarono in realtà, e che prevedevano di rimanere in miniera per 5 anni, con l’obbligo tassativo – pena l’arresto – di farne almeno uno. In tanti raccolsero l’invito e in Belgio si creò così una vera e propria comunità di corregionali friulani e giuliani, accanto a quelle degli altri connazionali delle altre regioni italiane più povere”.
Per gran parte di coloro che partirono la realtà fu profondamente diversa: al posto delle case, dovettero sistemarsi inizialmente nelle baracche, quelle utilizzate in precedenza per i prigionieri di guerra, le condizioni di lavoro risultarono particolarmente disagiate e rischiose, il percorso d’integrazione difficile. Tra i traumi principali che attendevano gli emigrati al loro arrivo nei bacini minerari predominava quello dell’impatto con le condizioni di lavoro.
La prima „discesa al fondo”, a mille metri di profondità, era, per uomini totalmente inesperti del mestiere, uno choc tale da impedire a molti di scendere una seconda volta. I manifesti affissi in Italia infatti pubblicizzavano il „lavoro sotterraneo nelle miniere belghe” senza specificarne i dettagli. Il contratto tipo non prevedeva alcun periodo iniziale di formazione e i lavoratori italiani venivano spediti ad apprendere il mestiere direttamente negli abissi dei tunnel senza alcuna precauzione, né la conoscenza della lingua. Per tutti i nostri connazionali si trattò di un’esperienza irta di problemi e amarezze, affrontata per la necessità di poter provvedere a sé stessi e ai propri familiari.

MINIERE. Il Bois du Cazier, simbolo di un’epopea drammatica e gloriosa, un luogo della memoria fra i più simbolici per l’emigrazione del dopoguerra, è stato riconosciuto dall’Unesco, insieme con altri tre siti minerari della Vallonia, patrimonio dell’umanità.
Il libro, tuttavia, si sofferma molto anche sulle capacità di riscatto e di integrazione di cui uno dei simboli è Domenico Lenarduzzi, arrivato da Zoppola in Belgio nel 1947 per raggiungere il padre minatore a Charleroi. Come ricorda Lucio Gregoretti: „Dopo aver vissuto nelle baracche di lamiera e in un prefabbricato di legno sino al 1957, a causa di una zuffa con altri bambini, venne mandato in riformatorio e da lì in collegio per studiare. Poi frequentò il liceo e consegui due lauree, arrangiandosi con diversi lavori per potersi mantenere. Da assistente del preside di facoltà, successivamente divenne funzionario alla Corte dei Conti e poi dirigente della Comunità Europea, sino a ricoprire l’incarico di direttore generale della sezione Istruzione e Cultura, con cinque lauree ad honorem in tasca. È stato l’inventore dei programmi di scambio Erasmus, Leonardo, Socrates, che oggi arricchiscono le esperienze di tanti giovani in tutta Europa”.
Tuttora le persone di origine italiana in Belgio iscritte nell’Anagrafe degli Italiani all’estero, l’AIRE, sono 235 mila, quasi il 5% della popolazione. Da quell’esperienza, il legame con le migliaia di italiani di origine friulana e giuliana e dei loro discendenti presenti
in quel paese si è consolidato e mantiene profonde radici con la terra d’origine. I nostri corregionali svolgono un ruolo importante nella società belga e sono parte onorata di quella nazione.

MINATORI. “Casa nostra. La casa degli Italiani”, caffè di ritrovo degli emigranti, anni Cinquanta.
Gli autori
Lucio Gregoretti, giornalista e ricercatore, ha collaborato con il Messaggero Veneto e con il quotidiano nazionale Conquiste. Tra i suoi volumi: Nel tempo del Signore delle Anime; D’Annunzio: da Ronchi di Monfalcone a Fiume; Europa fra integrazione e allargamento; Cent’anni della Grande Guerra. Presiede l’Istituto Euromediterraneo del Friuli Venezia Giulia e l’Associazione di Promozione Sociale Clape Friûl dal Mont. È stato Presidente e docente dell’agenzia formativa IAL e IAL Form e consigliere dell’IRFOP e d’Informest.
Ferruccio Clavora, laureatosi in Economia e Commercio e Sociologia in Belgio, dopo esperienze lavorative a Colonia e a Londra in progetti del Fondo Sociale Europeo, nel 1976 rientra nelle Valli del Natisone, lavorando come giornalista professionista per testate nazionali e internazionali e, dal 1992, come direttore dell’Ente Friuli nel Mondo, contribuendo a innovare radicalmente la programmazione delle iniziative regionali in tema di emigrazione. Ha trascorso la vita dedicandosi ai migranti, alle comunità linguistiche minoritarie e, in particolare alla sua Slavia Friulana, con svariate pubblicazioni su questi temi. Dal 2021 è presidente onorario di Clape Friûl dal Mont.
Romeo Pignat, titolare di Primalinea, si occupa di comunicazione d’impresa. Una parte della sua attività è dedicata a cultura e territori, con produzioni di documentari, mostre multimediali, siti web, comunicazione per festival e scritture per spettacoli ed eventi. Ha realizzato il MIM, Museo Interattivo delle Migrazioni di Belluno, e mostre itineranti per L’Ente Friuli nel Mondo e l’Associazione Giuliani nel Mondo. È direttore artistico della rivista Kadmos di ICM Gorizia e autore di numerose pubblicazioni, tra cui Lacrime nere, scritta con Ferruccio Clavora.
Il volume Carbone, pane e dignità.