Una storia friulana.
di GABRIELE GEROMETTA
Giacomo Ceconi, figlio di Maddalena Guerra e Angelo Ceconi e ultimo di tre fratelli, nacque il 29 settembre 1833 a Pielungo, piccolo villaggio pedemontano all’epoca ancora sotto il dominio austriaco. Intorno al 1850, nel pieno dell’adolescenza, Giacomo era uno dei tanti pastori della zona e si occupava di pascolare le mucche di famiglia, in un contesto di dignitosa povertà tipico di molti villaggi pedemontani.
Ma l’entusiasmo e l’ambizione bruciavano nel giovane Giacomo e per questo si convinse che, per dare una svolta alla propria vita, sarebbe stato necessario abbandonare, seppur a malincuore, il paese e trasferirsi in città. Ottenuto così il permesso dalla madre, si mise in viaggio per Trieste.

RITORNO A CASA. La villa padronale, costruita raggruppando le case della natia borgata di “Cuel da Rep”.
Aveva 18 anni appena ed era semianalfabeta. Trieste nel 1851 era uno dei centri commerciali e culturali più importanti dell’impero austroungarico. Giacomo non faticò troppo a farsi assumere come generico manovale, ma si rese ben presto conto che l’unico modo per garantirsi un futuro era quello di ottenere la qualifica di muratore. Per questo, pur lavorando a tempo pieno in cantiere, si iscrisse alle scuole serali.
Ma l’occasione della svolta non tardò ad arrivare: sul cantiere i lavori si bloccarono per un problema tecnico che nessuno era in grado di risolvere, così Giacomo, rivolgendosi direttamente ai suoi datori di lavoro, i fratelli Martina di Chiusaforte, si offrì di risolverlo in cambio della qualifica di muratore, che puntualmente ottenne.
Malgrado la promozione, la vita di studente-lavoratore si rivelò ben presto troppo onerosa, per cui Giacomo decise, non senza remore, di interrompere gli studi a causa dei crescenti debiti col suo istitutore. Questi, tuttavia, intuendo il potenziale del ragazzo, lo rassicurò proponendo di dilazionare i pagamenti e permettendogli così di continuare gli studi.

WOCHEINER. Ceconi con i suoi operai.
In questi anni la madre seguiva da lontano, ma con estrema fiducia, la carriera di Giacomo tanto che, quando arrivò la cartolina del servizio militare, che in quegli anni consisteva in un periodo di sette anni da passare in Galizia, regione austriaca al confine con la Cecoslovacchia, impose al marito di impegnare quasi tutti i loro beni per esentare il figlio dagli obblighi di leva, pratica legale e diffusa all’epoca. La scelta, all’apparenza molto rischiosa, si sarebbe rivelata quella giusta: pochi anni più tardi, Giacomo avrebbe riscattato tutti i beni, restituendoli ai genitori.
Conquistata col tempo e il sudore una certa sicurezza economica, Giacomo decise di mettersi in proprio, raccogliendo attorno a sé alcuni compaesani e prendendo commesse da altre aziende. In pochi anni iniziò ad assumere lavori sempre più importanti e impegnativi, costruendo stazioni e tronchi ferroviari, ponti e strade, facendosi un nome in tutto l’Impero.

LAVORI. Il cantiere di Wocheiner.
Seguendo un cantiere in Ungheria, conobbe una ragazza, Caterina Racz, di cui si innamorò. Dopo qualche tempo, arrivò il naturale coronamento del matrimonio e la nascita di due figli, Angelo e Rosa. Ma la felicità non era destinata a durare a lungo e, a soli quattro anni dal matrimonio, Caterina morì, lasciando Giacomo solo.
Naturale sfogo divenne allora il lavoro, a cui Giacomo si dedicò con feroce determinazione: in pochi anni l’impresa crebbe a dismisura, facendogli ritrovare la serenità per risposarsi con l’austriaca Giovanna Wuch, da cui ebbe altri quattro figli: Vittorio, Jenny, Elvira e Umberto.

WOCHEINER. Fasi del lavoro.
Con una mossa studiata, Ceconi si trasferì con tutta la famiglia a Gorizia e assunse la cittadinanza austriaca in modo da poter concorrere e vincere l’appalto per la costruzione del tunnel nel monte Arlberg, opera monumentale, al limite del proibitivo dal punto di vista economico e logistico.
Condizione necessaria del contratto era la clausola secondo cui Ceconi avrebbe dovuto pagare una penale di 280 scellini per ogni giorno di ritardo, clausola che Ceconi accettò, ponendone a sua volta un’altra: un premio equivalente alla penale per ogni giorno di anticipo sulla fine dei lavori.

L’ARLBERG. Un ponte sulla strada di avvicinamento alla galleria.
Accettata la controproposta partono i lavori: il Ceconi assunse 16.000 operai, organizzando i cantieri in maniera meticolosa, utilizzando stratagemmi e soluzioni innovative, nate dal suo intuito e dagli anni di esperienza, che gli permisero di terminare i lavori con 8 mesi di anticipo sul termine. D’improvviso, con il suo coraggio e la sua lungimiranza, si ritrovava ricco oltre ogni immaginazione e la sua fama si spinse fino alla corte dell’Imperatore Francesco Giuseppe, che lo nominò nobile di Montececon.

LAVORI. L’Arlberg, Cecconi con i suoi operai.
Malgrado i lunghi anni di lontananza, Giacomo aveva mantenuto costante e sentito il suo rapporto con la famiglia e la terra natìa: l’aspetto che gli stava più a cuore era strappare Pielungo dall’isolamento delle montagne, consapevole che era l’unico modo di combattere l’inevitabile spopolamento. Decise per questo di costruire, a proprie spese, una strada carrabile che collegasse efficacemente il Paese alla Valle.
Entrò ben presto in polemica con i comuni di Clauzetto e Forgaria, colpevoli di una sterile e a conti fatti masochista politica campanilistica e, per questo, decise di far passare la strada nel luogo più impervio della Val d’Arzino, l’orrido del Clapiat. Completò l’opera in due anni, con una spesa di 150.000 lire, e intitolò la strada alla Regina Margherita, che contraccambiò l’onore con l’intercessione, nei confronti di Re Umberto I, per trasformare il titolo di nobile austriaco del Ceconi nella carica di conte di Montececon.

PIELUNGO. Uno scorcio dei lavori lungo la Regina Margherita.
Nel 1874 morì la moglie Giovanna, ma ben presto il conte si risposò con Geltrude Maria Dittmar, conosciuta durante le sue frequentazioni della corte di Vienna, un’istitutrice molto introdotta a corte, vedova di un nobile inglese. Dopo il matrimonio il conte scoprì che la donna era l’amante di un influente membro di corte e che era incinta dallo stesso.
Ceconi chiese immediatamente il divorzio e il disconoscimento della neonata figlia Alice, ma i tribunali austriaci, influenzati dalle pressioni di corte gli diedero torto. Tutt’altro che sconfortato dalla sentenza, Ceconi non si diede per vinto e decise di rinunciare alla cittadinanza austriaca e fare ritorno in Italia dove, appellandosi alla Sacra Rota, ottenne l’annullamento del matrimonio.

LAVORI. L’Arlberg, l’ingresso della galleria.
Agli inizi del ‘900 la sua impresa era ormai una delle maggiori realtà a livello europeo e il conte, per certi versi appagato della sua vita di imprenditore di successo, decise di tornare in via definitiva nella natia Pielungo. Abbandonò così la villa a Gorizia trasformando la sua villa padronale, ottenuta comprando e ristrutturando tutte le case del suo borgo, in un imponente castello che testimoniasse il suo rango nobiliare.

CASTELLO. La villa padronale trasformata in castello, dopo il titolo di conte.
Tornato „a casa” decise di dedicarsi all’attività politica e, come da consuetudine, lo fece con successo: venne eletto per svariati mandati sindaco e consigliere provinciale. Durante i suoi mandati dotò a proprie spese il comune di ben sette scuole dotate di appartamenti per gli insegnanti, a cui garantì stipendio pagato per dieci anni; fece costruire i primi acquedotti comunali, le prime moderne aziende agricole, nuovi ponti e vie di comunicazione.
In questi anni di fervente e impegnativa attività assunse in casa come istitutrice una ragazza slovena, Giuseppina Novak, da cui ebbe due figli: Mario, che sarebbe diventato un celebre scultore, e Magda. Ma un’altra tragedia incombeva su casa Ceconi: il figlio Umberto, tenente dei dragoni austriaci, oberato dai debiti a causa di una vita dissoluta, al rifiuto del conte di pagare per l’ennesimo debito di gioco, si suicidò a Gorizia con un colpo di pistola, infierendo un duro colpo all’ormai anziano conte.

LA FAMIGLIA. Giacomo Ceconi con la figlia Magda.
Pielungo aveva bisogno di una nuova chiesa, che il conte puntualmente iniziò a progettare, ma durante i lavori i capi famiglia di Pielungo, divenuti negli anni agiati possidenti terrieri grazie alla strada Regina Margherita, gli fecero capire che ormai non c’era più bisogno in paese del suo denaro e dei suoi consigli. Così il vecchio conte, non senza una certa dose di rammarico, accettò un’ultima grande sfida, che si sarebbe rivelata il canto del cigno della sua prestigiosa carriera di costruttore.
Questa volta gli venne proposto di costruire un altro tunnel nel paese di Wocheiner, più breve del precedente, ma immensamente più complesso da portare a termine, il tutto alle medesime condizioni economiche dell’Arlberg. Pur intuendo la volontà nascosta degli appaltatori di recuperare parte dei soldi spesi alcuni anni prima, il vecchio conte accettò l’ennesima sfida e per l’ennesima volta la vinse, finendo l’opera con alcuni mesi di anticipo e ingrossando ulteriormente il suo già cospicuo patrimonio.

WOCHEINER. L’ingresso della Galleria.
Intanto a Pielungo i capi famiglia, accortisi che le loro risorse non erano sufficienti a finire la chiesa, dopo alcuni anni di imbarazzato silenzio decisero di mettere da parte l’orgoglio e recarsi a Wocheiner in delegazione con il parroco per supplicare il conte di intervenire per portare a termine i lavori. Il conte acconsentì, a patto di far firmare, a tutti i capifamiglia, una cambiale nei suoi confronti per l’ultimazione dell’opera.
Una volta completata la chiesa, Ceconi radunò i compaesani e durante la cerimonia di inaugurazione bruciò pubblicamente le cambiali, nel tripudio di tutta la comunità. Riappacificatosi con la comunità di Pielungo e ritrovata la serenità familiare con il matrimonio con Giuseppina Novak, che gli diede un’altra figlia, Maria, il conte poteva vivere un’anzianità serena e tranquilla.

LA FAMIGLIA. Giacomo Ceconi con la sesta moglie, Giuseppina Novak, e i figli Mario, Magda e Maria.
Ma con l’approssimarsi della fine, il demone della sfida crebbe un’ultima volta in lui e decise impegnarsi in una ultima grandiosa opera per la sua terra: la costruzione di una centrale idroelettrica che avrebbe sfruttato l’acqua dell’Arzino per dare energia al paese, ma anche ad una avanguardistica fabbrica di cemento e ad una di concime, che avrebbero trasformato la Val d’Arzino in un importante centro industriale. Era il 1907.
Tuttavia, come per la costruzione della Regina Margherita, Ceconi si scontrò con l’ostilità dei comuni limitrofi che, temendo il progresso che avrebbe investito il comune di Vito d’Asio, osteggiarono in tutti i modi l’opera. E infatti, non appena conclusa la galleria per la conduzione forzata dell’acqua e l’edificio dove si doveva collocare la fabbrica di cemento, una denuncia di alcuni Comuni, aventi i diritti per la fluitazione del legname sull’Arzino, bloccò i lavori per un paio d’anni.

PIELUNGO. 18 luglio 1910, terminata la messa funebre, la gente lentamente uscì dalla chiesa.
La sentenza in favore del conte arrivò circa sei mesi prima della sua morte, troppo tardi. Ammalato di cancro, il conte Ceconi si spense nell’ albergo „Croce di Malta” di Udine il 10 luglio 1910. Il feretro fu trasportato da una carrozza scoperta del tram da Udine a San Daniele, venendo poi trasferito a Pielungo da una carrozza funebre trainata da cavalli che, passando di comune in comune fu salutata per tutto il tragitto da una folla di gente, desiderosa di tributargli un ultimo, solenne saluto.

CASTELLO. ll castello Ceconi in Val d’Arzino.
Il Castello Ceconi di Pierlungo
Il Castello Ceconi è situato nella foresta Ceconi. Fu l’ultima costruzione realizzata da Giacomo Ceconi, famoso per essere stato uno dei più importanti costruttori di ferrovie e strade nell’Impero Austro-Ungarico. Giacomo Ceconi (1833-1910), di umili origini, diventato grande costruttore di ferrovie e creato nobile dall’imperatore Francesco Giuseppe I e conte da re Umberto I, ampliò enormemente la casa natale negli anni 1890-1908, facendole assumere le linee di un castello ghibellino, con statue e affreschi sulla facciata. Il conferimento del titolo di conte della Corona d’Italia richiedeva, secondo una tradizione ormai secolare, che Giacomo Ceconi erigesse una residenza dalle caratteristiche e dalle proporzioni di un castello. Si trattò di una villa che, negli intenti del Ceconi, avrebbe dovuto tenere legati i suoi discendenti alla natale Pielungo.
Per i lavori dell’edificio (in Val Nespolaria) Giacomo Ceconi si trattenne sempre più frequentemente e sempre più a lungo nel suo borgo natio (1890-1908) per attendere alla progettazione e alla costruzione di tale sua residenza nobiliare, non mancando pure di adoperarsi nel contempo anche per il suo paese. Il castello veniva riscaldato a legna, per cui si rendeva necessario il lavoro ininterrotto di un addetto all’alimentazione delle enormi stufe di maiolica, che si trovavano in ogni stanza (il suo nome era Florio). L’illuminazione era invece ad energia elettrica, ricavata dalla centrale fatta costruire dal conte presso il torrente Arzino, ove, attraverso delle tubature a condotta forzata, giungeva l’acqua dell’acquedotto Agaviva. Nei sotterranei del castello vi erano infine dei forni, utilizzati per cuocere i cibi tipici friulani, ma anche quelli legati alla tradizione austriaca.
Il Ceconi aveva poi designato una stanza del castello a museo, in cui conservava gelosamente molti oggetti legati alla sua gioventù e al suo lavoro da imprenditore. Tra i tanti cimeli vi erano gli arnesi da muratore usati in gioventù, i disegni dei lavori eseguiti, dediche, medaglie, pergamene, i diplomi ricevuti e anche molti ritratti di maestranze e di ingegneri con i quali aveva collaborato durante la sua lunga carriera. Dopo l’ultima guerra, l’edificio venne ceduto all’Ente Provinciale di Economia Montana. A detto ente la famiglia Ceconi aveva già devoluto tutto il terreno boschivo, acquistato e ripopolato dal conte. L’ente pubblico provvide all’opera di restauro del palazzo, che tuttavia ebbe a subire nuove mutilazioni a seguito del terremoto.
Il 24 luglio 2008 il maniero è passato definitivamente nelle mani dell’azienda Graphistudio che, oltre al castello, ha acquistato anche l’annessa foresta di faggi. Dopo una lunga e minuziosa ristrutturazione ora il castello si presenta al massimo del suo splendore.