Originario di Montona dell’Istria all’epoca italiana, dopo essere stato in un campo profughi, Mario Andretti nel 1964 divenne cittadino statunitense. È stato uno straordinario campione sportivo.
di PAOLO POSARELLI
Mario Andretti, nato Montona dell’Istria all’epoca italiana nel 1940, lasciò il paese natio nel dopoguerra con la famiglia, dopo l’assegnazione della regione alla Federazione Jugoslava. All’inizio la famiglia fu dislocata in un campo profughi in Toscana. Prima di lasciare l’Italia Mario svolse il lavoro di aiutante meccanico in una officina di Lucca. Nel 1955 insieme alla sua famiglia ottenne il visto di ingresso per gli Stati Uniti stabilendosi a Nazareth, in Pennsylvania, e nel 1964 divenne cittadino statunitense.
Mario e suo fratello gemello Aldo cominciano a gareggiare nel 1958 in gare locali di „dirt track”, alternandosi alla guida di una vettura della categoria turismo da loro elaborata, ottenendo subito ottimi risultati e, dopo un incidente quasi fatale occorso ad Aldo alla fine della loro stagione di debutto, Mario passa alle „sprint cars” e poi alle „midget” (categorie che gareggiano su circuiti ovali sterrati) e poi nel 1963 di nuovo alle „sprint cars” nelle gare organizzate dall’USAC. In queste gare ottenne la prima vittoria nel 1965, conquistando quell’anno anche il titolo e riconfermandosi poi nel 1966.
Come molti altri piloti attivi negli stessi anni si cimentò contemporaneamente in diverse altre categorie: alla fine del 1965 debuttò con le vetture sport, con cui avrebbe disputato per lunghi anni gare selezionate del campionato CanAm e del Mondiale Marche, conquistando per ben tre volte la 12 Ore di Sebring (assoluta nel 1967 e nel 1970, vittoria di classe nel 1969). Salì più di una volta sul podio della 24 Ore di Le Mans, cui partecipò per la prima volta nel 1966 al volante di una Ford GT40, e nel 1967 partecipò al campionato NASCAR, vincendo in questa categoria la 500 miglia di Daytona.

LEGGENDA. Andretti sogna di vincere la 500 Miglia di Indianapolis fin da bambino, quando viveva in un’Italia devastata dalla seconda Guerra Mondiale. La sua famiglia è costretta a soffrire l’occupazione della Jugoslavia, perde la casa e deve andare in un campo profughi. Mario vi rimane fino al 1955 ed è un’esperienza che lo segna per tutta la vita. Ma un giorno, mentre si trova ancora nel campo profughi, ha l’occasione di guardare insieme al fratello un film intitolato Indianapolis. Entrambi restano estasiati sentendo parlare di quel circuito di 500 km percorso a oltre 200 km/h. In quel momento Mario capisce che diventerà un pilota. E andrà proprio così. Anzi, diventerà una leggenda.
Andretti su Parnelli-Ford vinse il Gran Premio d’Argentina 1975 e l’anno seguente fece il suo esordio in Formula 1 con la Lotus. Iscritto, non partecipò al Gran Premio d’Italia, ma conquistò la pole position nella sua prima apparizione al Gran Premio degli Stati Uniti. Corse con la Lotus anche nel 1969, per tre Gran Premi, senza tuttavia riuscire mai a vedere la bandiera a scacchi. Nella stessa stagione affrontò anche il campionato USAC, che vinse, aggiudicandosi anche la 500 Miglia di Indianapolis. Nel 1970 passò quindi alla March, con cui corse cinque Gran Premi, conquistando il suo primo podio nel Gran Premio di Spagna. La Ferrari lo ingaggiò per la stagione 1971 e Andretti ottenne subito la vittoria nella gara d’apertura in Sudafrica, condita con il giro più veloce. Anche nella stagione successiva il pilota italoamericano corse per il Cavallino alcuni gran premi di Formula 1, ottenendo in aggiunta quattro vittorie in gare riservate per vetture sport.
Dopo un anno di assenza dalla Formula 1, durante il quale corse negli Stati Uniti, Andretti vi tornò nel 1974 con una scuderia stelle e strisce, la Parnelli. Con questa nel 1975 conquistò punti campionato in Svezia (arrivando quarto) e Francia (arrivando quinto), nonché il giro più veloce in Spagna. Dopo un gran premio con la Lotus (ad Interlagos in Brasile) e due con la Parnelli (in Sudafrica, arrivando sesto, e negli Stati Uniti-Ovest), Mario Andretti nel 1976 concluse la stagione con la scuderia di Colin Chapman. Ottenne una vittoria nell’ultima gara (nel Gran Premio del Giappone) interrompendo un digiuno per la casa inglese che durava da 31 gare; una pole position, sempre in Giappone, e due podi nel Gran Premio del Canada e nel Gran Premio d’Olanda.
Nel 1977 la Lotus lanciò il modello 78, la prima vettura da Gran Premio che sfruttava l’effetto suolo. Andretti conquistò quattro vittorie, sette pole, quattro giri veloci e chiuse terzo nel campionato mondiale. Con il modello 79 la Lotus diventò imbattibile l’anno seguente, che incoronò Andretti campione del mondo. Le sei vittorie, i tre giri più veloci e le otto pole position dimostrarono la superiorità del pilota italoamericano e della Lotus. Le due rimanenti stagioni con la Lotus tuttavia furono deludenti. Nel 1979 Andretti lottò per il titolo solo nelle prime gare, conquistando il suo unico podio in Spagna. Nel 1980 addirittura conquistò un solo punto all’ultima gara nel Gran Premio degli Stati Uniti-Est. Passò all’Alfa Romeo l’anno seguente, conquistando un quarto posto nella gara d’esordio (Gran Premio degli Stati Uniti-Ovest) e chiuse la sua carriera in Formula 1 nel 1982.