Girando fra palazzi, chiese e botteghe di Venezia le opere dei mosaicisti e terrazzieri friulani fanno rivivere lo spirito dei secoli d’oro.
di RADA ORESCANIN
Non c’è palazzo, chiesa, casa o bottega a Venezia che non abbia, o non abbia avuto, il “pavimento alla veneziana” comunemente chiamato terrazzo, ma nessuna storia dei terrazzieri e mosaicisti del Friuli Venezia Giulia (e quindi del mondo) potrebbe essere raccontata a prescindere dai torrenti sassosi del Meduna e del Cellina, del Cosa e del Tagliamento e dai fasti della Repubblica Veneziana. È da questo binomio che si sviluppa un’esperienza che ha dato, e continua a dare, lustro e prestigio alle nostre terre, alle nostre genti e alle nostre imprese.
Il famoso letterato Francesco Sansovino parla per la prima volta nel 1581 dei terrazzieri e dei terrazzi realizzati da maestri che tramandavano gelosamente la loro arte di padre in figlio. I terrazzi e i pastelloni veneziani, composti di calce, stucco e marmi sbriciolati, si adattano con la loro elasticità alla miracolosa architettura di Venezia che poggia in gran parte su fango e legno.
L’anno dopo, esattamente il 9 febbraio 1582, nasce la Confraternita de’ Terrazzieri, nel periodo dei fasti della Repubblica Veneziana. È certa la presenza in questa corporazione dei friulani: la descrizione del “terrazzaro” contenuta in un documento veneziano che analizza varie figure ricorda che “gli maestri propri e particolari dell’arte de’ terrazzari sono per ordinario Forlani” e lo attestano anche l’apparire fra questi i cognomi tipici del territorio di Sequals: Crovato, Mander, Cristofoli, Avon, Pellarin, Mora, Pasquali. Lo stesso documento rileva che “questi singolari artefici hanno la loro scuola a San Paterniano sotto il titolo di San Floriano Martire”.
Alla figura di Floriano, santo particolarmente venerato in Friuli, protettore contro gli incendi, si accompagna l’atto di versare acqua da un secchio e, quindi, si ritiene che sia stato scelto come patrono nell’arte musiva considerato che l’acqua è un elemento presente in tutte le fasi della lavorazione del terrazzo.
In realtà, nella Serenissima i nostri corregionali si dedicano al restauro dei mosaici bizantini nelle chiese della città già a partire dal XI secolo e alla lavorazione del terrazzo, o battuto alla veneziana, che veniva usato sia per i palazzi che per le abitazioni più modeste fin dall’inizio del XII secolo ed era ottenuto con frammenti di marmi e pietre di vari colori disposti alla rinfusa in uno strato di mattone macinato e calce, con bordi a disegno e talvolta con motivi ornamentali nel centro.
Essi contribuirono a dare al battuto veneziano (che si impose definitivamente alla fine del ‘400 per le sue qualità di robustezza e praticità di manutenzione e pulizia) un tocco personale usando ciottoli pazientemente raccolti nei greti dei fiumi che scorrono nei dintorni dei luoghi d’origine: dal Cosa provenivano i ciottoli bianchi, dal Meduna quelli giallo vivo e quelli color fegato (il clap fiât), dal Tagliamento quelli neri, verdi e rossi. I pesanti sacchi venivano consegnati con frequenza settimanale prima a carrettieri, poi a diligenze a due cavalli che li portavano fino al primo corso d’acqua utile o fino al mare, consegnandoli a loro volta alla barca che avrebbe portato il prezioso carico nel centro della città. Alla fine dell’Ottocento, la costruzione della ferrovia che passava per Spilimbergo ne facilitò il trasporto.

MOSAICI. Materiali per la lavorazione di un mosaico realizzato per Michael Shwartzman. Mosaici Artistici Travisanutto.
Con la rinascita artistica a Venezia del XVI secolo, si sviluppa, dunque, anche la moderna storia dei terrazzieri e dei mosaicisti friulani, soprattutto provenienti dallo spilimberghese, in particolar modo da Sequals e Solimbergo, paesi attorniati dai vasti ghiaieti dei corsi d’acqua provvisti di quantità illimitate di materiale lapideo.
Uno storico ricercatore di Sequals, Leonardo Zecchinon, ha ricostruito molto efficacemente l’esperienza dei nostri corregionali: “Nei palazzi veneziani si diffonde rapidamente la moda del terrazzo e del mosaico: le sontuose dimore sul Canal Grande si arricchiscono a maggior gloria dei patrizi della Serenissima, ricchi di gusto e di palanche. Fino alla metà dell’800 prevalgono i terrazzai, poi hanno il sopravvento i mosaicisti. Venezia è per i nostri mosaicisti allo stesso tempo palestra in cui esercitarsi e vetrina in cui mostrarsi per vendere. Nel XVIII secolo prende piede sia il pavimento alla veneziana (ottenuto con frammenti di marmo e pietre di vario colore disposti alla rinfusa) che il pavimento detto alla palladiana (composto di pezzi irregolari di lastre policrome fugati con cemento colorato in rosso da polvere di mattone)”.
Sull’evoluzione delle tecniche, ancora Zecchinon: “Motivi decorativi quali rosoni, mezzerie, greche e fasce, si fanno più frequenti, ricchi e perfetti. Si arriva al punto che l’intero terrazzo viene decorato in ogni sua parte esclusivamente in mosaico. La sostituzione delle scaglie irregolari proprie del battuto – anche così era chiamato il terrazzo alla veneziana – con le tessere proprie del mosaico è caratteristica peculiare di Sequals. E questa si spiega facilmente, considerando i prestigiosi terrazzai-mosaicisti, a cui il paese ha dato i natali, i quali, rientrando dai vari paesi del mondo in cui avevano portato quest’arte, abbellivano le loro abitazioni con splendidi tappeti musivi. A partire da metà ‘800 si apre una grande irripetibile stagione nel segno del bello, del nuovo e del progresso, intesi come mete facilmente raggiungibili”.
Ecco perché ancor oggi girando per palazzi, chiese, casa o bottega a Venezia ovunque ritroviamo il “pavimento alla veneziana”, quello realizzato dai mosaicisti e terrazzieri friulani.