Perché si deve onorare lo spirito laborioso delle comunità friulana e giuliana che hanno lasciato tanti segni importanti nella Grande Mela.
di LUCIO GREGORETTI
Le tante Little Italies, “piccole Italie”, espressione dei nostri connazionali nel Nuovo Mondo, sin dal loro sorgere costituiscono un punto focale e riconoscibile della presenza italiana. Sono il luogo dello sviluppo della socializzazione tramite associazioni benefiche, ricreative e sportive. La più famosa Little Italy, che riunisce abitudini e lingua, è quella della parte meridionale di Manhattan, nel cuore di New York, formatasi attorno a Mulberry Street. Ma sempre a New York, sono sorte altre Little Italy non meno importanti, come nel Bronx, a Bensonhurst, a Staten Island e nel Queens.
Dopo l’Unità d’Italia e sino al 1900, circa 800 mila italiani arrivano in America e nei 25 anni successivi questo flusso raggiunge il culmine con 3 milioni e mezzo di sbarchi per lo più attraverso il porto simbolo di Ellis Island, isolotto alla foce del fiume Hudson nella baia di New York. Di fronte alla creazione di nuovi posti di lavoro viene favorita l’entrata di manodopera immigrata negli USA, destinata al consolidamento del settore urbano ed industriale di città come New York, che passa in pochi decenni al rango di grande metropoli.
La Grande Mela costituisce la principale meta di arrivo e di passaggio dell’immigrazione dei connazionali nella vasta America urbana. A New York, nel 1910, gli immigrati del nostro Paese, assieme a chi era nato da genitori italiani, superano già le 500 mila unità. Se con l’introduzione dell’Immigration Act nel 1924 entrano in vigore restrizioni agli sbarchi, nel contempo si verifica ciò che viene considerato come lo sviluppo più importante per l’influenza sul futuro degli Italiani in America: l’emergere della seconda generazione.
Negli anni ‘20, i figli nati in America superano in numero i loro genitori immigrati e inizia, dal un punto di vista culturale e sociale, il processo di americanizzazione. Già a inizio Novecento, i friulani che si erano insediati a “Little Friuli” formano da soli un grande villaggio. Molti di questi sono terrazzieri e mosaicisti e gran parte provengono dai paesi dell’attuale provincia di Pordenone.
La storia dell’America e quella di New York del Novecento sono contrassegnate dal protagonismo di tanti corregionali, che si affermano in ruoli sociali importanti, contribuendo al progresso di quella nazione con il laro lavoro e le loro imprese. Come il giovane Federico Patrizio, arrivato da Sequals, destinato a diventare un influente dirigente del “Mosaic and Terrazzo Workers’ Association of New York & Vicinity”, il prestigioso sindacato dei mosaicisti e terrazzieri di New York creato nel 1888, pochi anni dopo l’arrivo dei primi di questi lavoratori specializzati negli Stati Uniti, per raccogliere i terrazzieri più esperti, i cosiddetti “Mechanics” e poi successivamente anche muratori, tagliapietre, stuccatori, cementisti e marmisti.

NEW YORK. Manhattan Bridge. Foto: Alex Presa.
Ancora oggi, nel campo del mosaico e dei terrazzieri, società che hanno le loro radici nell’opera dei nostri corregionali restano indiscussi punti di riferimento. Miotto e Trevisanutto sono nomi che a New York e in America tutti conoscono in questo settore.
Maggiormente concentrati a New York, i friulani tra le due guerre sono presenti in molte altre città statunitensi. A Pittsburgh, in Pennsylvania, per esempio, un buon numero di emigranti lavora nelle acciaierie; a Detroit, nel Michigan, molti lavorano come operai nelle fabbriche di automobili; a Cleveland, nell’Ohio, gli emigranti di Cordenons, San Pietro al Natisone e Fanna sono impiegati presso gli stabilimenti metallurgici. A Chicago il gruppo più numeroso proviene da Vendoglio di Treppo Grande e da Azzida di San Pietro al Natisone, e molti di questi lavorano nel settore del mosaico e del terrazzo, e come muratori.
Anche le grandi opere della ricostruzione post 11 settembre 2001, hanno matrici friulane. La Collavino Construction Company ha realizzato, infatti, la Freedom Tower di New York, il grattacielo più alto della città, sorto sulle ceneri delle Torri Gemelle, emblema della rinascita di Ground Zero. L’azienda è di proprietà dei fratelli Mario e Arrigo Collavino, con le origini a Muris di Ragogna.
Un’altra impresa del Friuli Venezia Giulia, la Cimolai di Pordenone, ha lasciato il segno con la realizzazione della stazione ferroviaria “Oculus” a Ground Zero. Disegnata dall’architetto Santiago Calatrava, realizzata in vetro e acciaio, con delle aperture per far entrare la luce, è una vera e propria opera d’arte. Per tutto questo, è doveroso onorare lo spirito pioneristico e laborioso delle comunità friulana e giuliana che hanno lasciato tanti segni importanti nella costruzione e nella ricostruzione della Grande Mela.