di ALBERTO GASPARINI
1. Domanda e risposta preliminare: “Etnia? Sia se volete che sia!”
Fin dalle prime ricerche e dalle prime pubblicazioni l’ISIG (Istituto di Sociologia Internazionale di Gorizia) ha studiato le relazioni tra etnie e i loro caratteri “oggettivi”, elaborando un manuale-novità nel 1975 (A.M. Boileau, R. Strassoldo, E. Sussi, Temi di sociologia delle relazioni etniche). Per quanto riguarda tuttavia le “oggettività” del gruppo etnico, come la lingua, la storia, i simboli, la religione, ecc., si è anche messo in risalto e approfondito che simili “oggettività” non sono le vere e importanti variabili e, in secondo luogo, che tale “oggettività” è “oggettiva” perché si vuole e si è costruita come oggettiva.
È così che, intitolando con “Etnia? Sia se volete che sia” (curato da L. Bregantini e A. Pannuti) un numero di Futuribili (n. 1-2/1997), si è voluto cogliere un secondo aspetto dell’etnia: essa è tale quando è considerata tale, e cioè la variabile più rilevante è la coscienza del gruppo di costituire un’etnia, e quindi è coscienza di essere portatrice di specificità oggettiva (storia, miti, lingua, religione solo propria). Tale carattere dell’etnia (“esiste se si vuole che esista”) viene a produrre due conseguenze alla concettualizzazione della stessa etnia.
La prima sta nel fatto che per l’esistere dell’etnia conta più il credere che essa esista che non i fatti oggettivi di tale etnia, ma non nel senso che questi possono non esistere ma, al contrario, che il loro esistere può essere costruito, inventato, modificato, orientato verso un qualcosa di logico e congruente, sia per quanto riguarda la storia e i miti che la lingua e la letteratura. È chiaro che a livello di relazioni fra etnie ed entro i gruppi etnici gli attori giocano un ruolo fondamentale, nel formare ed enfatizzare i radicamenti nella coscienza che esiste una propria etnia e le eventuali sovrapposizioni a questa coscienza eminentemente culturale di altre differenze più a carattere economico, sociale e politico. E senz’altro tale ruolo degli attori è più forte della “realtà” e della “effettività” delle differenze “oggettive” tra etnie.

GASPARINI. Alberto Gasparini, già ordinario di sociologia urbano-rurale nell’Università di Trieste, presidente dello IUIES (International University Institute for European Studies), è Direttore della rivista Futuribili.
La seconda conseguenza è che l’etnia diventa variabile per momenti storici e nella storia stessa, in quanto proprio questa coscienza può variare nel tempo e nei tempi: può essere forte ora, ma prima non lo era e forse domani lo sarà di meno di oggi. Ciò significa anche che l’identità etnica, la coscienza nei membri che l’etnia esista, l’appartenenza all’etnia hanno una loro storia, e cioè possono essere costruite come possono entrare in crisi e in smobilitazione psicologica e culturale.
Tale costruzione progressiva poi può essere operata agendo sui dati “oggettivi”, attribuendo “oggettività” e generalità a storie di varia provenienza e di varia origine, a leggende scomparse, a fatti sussurrati e trasformati in miti, a parlate di rurali che vengono mediate da élite locali e trasformate in lingue, a dubbie cerimonie trasformate in feste del popolo. La congruenza e la verosimiglianza fra elementi sono il cemento di questa nuova “oggettività”; il carisma dei costruttori di questa congruenza sta alla base del formarsi della forte coscienza di appartenere a un’etnia; il momento storico troppo cosmopolita può favorire il bisogno di sentirsi appartenenti all’etnia; la capacità di questa nuova “oggettività” di diventare generalizzata a tutta la comunità o a tutta la società fa sì che l’appartenenza al gruppo etnico sia svincolata dall’appartenenza a un gruppo sociale (semmai emarginato dalla cultura dominante) od economico e invece (l’appartenenza) sia riferita a tutto il gruppo etnico (e quindi che il dialetto non sia solo quello parlato dal rurale ma invece diventi la lingua parlata da élite, classe media, classi lavoratrici).
Lungo questa linea l’ISIG, nella sua azione scientifica quarantennale, ha mosso la riflessione. L’attività di ricerca invece l’ha sviluppata al livello delle relazioni fra gruppi etnici e al livello dell’analisi della “oggettività” e degli atteggiamenti delle etnie. Ciò ha significato studiare le etnie europee, con la ricerca di L. Bregantini su I numeri e i luoghi delle minoranze etniche dall’Atlantico al Pacifico o con la ricerca di G. Delli Zotti, A. Gasparini e M. Zago sul rapporto delle etnie italiane, jugoslave, ucraine, russe con la formazione dell’Europa. Ma soprattutto la ricerca ISIG si è orientata a studiare i caratteri delle, e i rapporti tra le, etnie regionali, e in particolare i caratteri delle etnie friulana e slovena.

2. Identità friulana
Con il libro Identità Friulana si è voluto cogliere l’aspetto più emozionale e diacronico, che abbiamo visto essere a fondamento “reale” dell’esistenza dell’etnia (“la coscienza”, appunto) e alla base del processo storico attraverso il quale si consolida l‘“oggettività” degli elementi dell’etnia.
Identità friulana. Così è e così l’hanno prodotta i miti, i parroci, le élite locali di Paolo Roseano affronta i due ultimi aspetti dell’etnicità, e cioè la forza della coscienza che esista l’etnia friulana; e, in secondo luogo, il processo storico attraverso il quale l’etnia è stata formata da miti costruiti, da un attore popolare com’è il clero di campagna e dalle élite urbane anche se locali. Seguendo il ragionamento sopra fatto, ci rendiamo conto che il vero problema è che l’etnia “c’è se si vuole e si crede che ci sia” e che questa volontà e questa fede siano tanto più forti quanto più riescono a “oggettivare” in un processo storico congruente alle basi dell’etnia stessa.
L’identità friulana, se esiste, con quanta forza è vissuta dalla gente, è il tema della prima parte del libro; ed essa viene colta in una tavola rotonda intorno alla quale si trovano virtualmente a rispondere persone che svolgono ruoli significativi nella comunità friulana. Ad esse sono rivolte domande relative all’esistenza dell’identità friulana, ai suoi caratteri, al suo mantenersi nel mutamento della società, all’intensità della coscienza friulana, ai movimenti autonomisti che l’hanno supportata.

FRIULI. Vita nelle malghe friulane, foto di Renzo Bean.
Da questa domanda è facile passare a parlare di specialità da attribuire alle due anime regionali del Friuli e della Venezia Giulia, e si tratta di temi che tuttora mantengono desto il dibattito sugli assetti futuri della regione Friuli Venezia Giulia. Ma vi sono anche domande in qualche modo “provocatorie” di risposte “forti” e decise: 1) sia in relazione alla scelta autonomista per le tante parti d’Italia che presentano identità specifiche; 2) sia in relazione al fatto che lingue, culture, etnie sono sottoposte a coscienza variabile e rischiano di mutare nel tempo, o nel senso di impallidire se non estinguersi, o in quello di rafforzarsi; e 3) sia infine in relazione al fatto che culture, lingue e coscienza etnica generalizzano a tutte le classi e gli strati sociali della società friulana sino a perdere gli originari caratteri popolari e contadini per diventare la lingua di tutti.
E cioè questa diventa la lingua anche degli impiegati, delle classi medie, e delle élite, con ciò stesso diventando lingua e cultura scritta oltreché parlata, astratta oltreché mediatrice di relazioni e della realtà della vita quotidiana, poiché, come afferma il linguista Giorgio Faggin «se il friulano vuole diventare una lingua autosufficiente deve creare i suoi neologismi. Questi neologismi devono però anche essere accettati. Bisognerebbe, cioè, che una minoranza di friulani cominciasse a parlare il nuovo friulano elevato, la nuova koinè moderna. Si creerebbe così una lingua friulana superdialettale, il cui uso potrebbe poi estendersi gradualmente». Tale processo si osserva già quando il parlare friulano viene depotenziato da stigmi negativi (“non è bene” parlare in friulano, sinonimo di cultura contadina) ed invece diventa un che di diffuso anche alle classi medie urbane: gli impiegati trovano estremamente positivo parlare tra loro e nella vita quotidiana in friulano.
Questa prima parte dunque esplora lo stato della coscienza friulana nei confronti della propria identità friulana; confronta le posizioni del clero, degli scrittori, dei professionisti della lingua, dei leader dell’autonomismo, degli storici, dei sociologi, del politico e dell’esponente di un’altra maggioranza e del mondiale, friulani o no, ma operanti in Friuli; proietta al futuro le possibilità e le caratteristiche dell’essere etnia culturale. La pazienza, la sagacia, l’amore e l’intelligenza di Paolo Roseano hanno raccolto e trascritto queste idee e questi contributi, nonché rispettato il desiderio di Maria Del Fabro Marchi di avere le sue risposte riprodotte nella lingua (friulana) in cui sono state espresse, con l’ovvia traduzione in italiano.

FRIULI. Vita nelle malghe friulane, foto di Renzo Bean.
La seconda parte del libro rappresenta l’altra faccia della sua originalità, poiché rappresenta la dimensione strutturale che riscopre e reinterpreta la storia del Friuli, al fine di dare profondità storica e mitologica a una cultura e a una lingua friulane che già esistono. Questo è il compito de La Patrie dal Friûl, la Scuele Libare Furlane e la Glesie Furlane, con quest’ultima che tende a individuare nel patriarcato aquileiese un mito-motore fondamentale. Qui Paolo Roseano esprime la sua capacità di ricercatore nell’elaborare un modello generale, con dimensioni sia statiche che dinamiche, che poi utilizza per interpretare l’identità friulana, e soprattutto il processo attraverso cui vengono costruite le ragioni mitico-simboliche e quindi storiche della legittimazione di tale identità friulana.
Dentro a questa ricerca dei miti-motori della ricostruzione dell’identità friulana vi è il profondo amore per il Friuli e per la civiltà friulana di Paolo Roseano, che tuttavia è solo la molla per esplorare razionalmente e “scientificamente” il percorso che la comunità friulana, il basso clero e le sue élite compiono per affermare la legittimità di una identità che per il semplice fatto che già esiste è essa stessa legittima. Ed inoltre a questa ricerca di ricostruzione dell’anima friulana vi è il pure lungo, pensato e confrontato con se stesso e con il mondo friulano, percorso dall’elaborazione di una tesi di laurea che Paolo Roseano ha discusso al corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche di Gorizia.
Il libro può costituire un’occasione di riflessione, di arricchimento conoscitivo, e soprattutto di coscienza che è bello appartenere a una etnia, di coscienza che è bello vivere in un mondo di diversità etniche, ma anche di coscienza che è bello scoprire di sapere dialogare con tutto il mondo, perché ad esso ci accomuna il nostro essere persona e il nostro vivere il medesimo tempo.

FRIULI. Vita nelle malghe friulane, foto di Renzo Bean.
Sgorlon: emigranti con la voglia di tornare
Un grosso capitolo che riguarda l’inconscio collettivo del Friulani è la strana disposizione che hanno nei confronti dell’estero e nei confronti della loro terra. Amano la loro terra, ma nello stesso tempo il Friuli va loro stretto. Soprattutto in altri tempi, quando c’erano prospettive limitate, non solo andavano all’estero, ma andavano molto lontano.
Ci si domanda perché: perché andare così lontano? È una necessità? Perché? Alla ricerca di lavoro, innanzitutto. Ma per trovare lavoro alle volte bastava andare a Vienna o a Budapest o in Svizzera o in Francia, non occorreva andare così lontano.
Allora bisogna ammettere che ci sia anche una misteriosa vocazione del friulano ad andare lontano, a migrare, come certi uccelli che vanno lontanissimo a cercare il caldo, non si sa bene perché, dal momento che potrebbero fermarsi molto prima. Il bello è che, una volta andati lontano, il loro desiderio è quello di tornare, tornare al più presto, magari ritornare ricchi e farsi ammirare dai paesani.
Comunque – tanto per rifarsi a un citazione letteraria – nel friulano si riscontrano due tendenze che vengono citate in qualunque saggio sul Romanticismo tedesco, cioè il Fernweh e il Heimweh: il desiderio di casa e il desiderio di lontano. I friulani non sono dei letterati ma, in questo senso, sono dei romantici. Difficilmente però i friulani riescono a comprendere il lontano, ad assimilare e a comprendere quello che è loro estraneo, sono sempre pronti a ritirarsi nella loro grotta, nella loro tana.
(Intervista a Carlo Sgorlon, dal volume Identità friulana).

FRIULI. Vita nelle malghe friulane, foto di Renzo Bean.