Il racconto di Marta Sgubin che il 7 settembre 1969 iniziò il suo lavoro con Jacqueline Kennedy Onassis.
Se le donne non esistessero, tutto il denaro del mondo non avrebbe alcun significato: era questo che, secondo Marta Sgubin, pensava Aristotele Onassis. La babysitter partita da Fiumicello e approdata alle cure dei rampolli dei Kennedy si confida con Oscar Orefice, giornalista che ha accompagnato non pochi italiani nel mondo della Formula Uno e dell’automobilismo, prematuramente scomparso nel 2014 a 68 anni. Come tante ragazze, da giovane Marte aspira a una carriera nel cinema. Invece…
“Un’estate, mia sorella, che era la segretaria dell’armatore Scala, mi portò con sé a Venezia, dove, durante le vacanze, mi sarei dovuta occupare dei bambini del padrone. Lì conobbi la moglie del console francese in Italia, che era incinta. Mi propose di seguirla e di prendermi cura della bambina che stava per nascere: Sybille. Così feci, con enorme soddisfazione di tutti. Da mio fratello maggiore, felice di essersi liberato di me e della mia presunta vocazione di attrice, al console, che aveva trovato per la figlia una brava e robusta campagnola, a me, che potevo finalmente viaggiare.”
Trascorrono sedici anni, Marta Sgubin vive al consolato di Washington e continua a coltivare la sua passione per la recitazione allestendo spettacoli teatrali, con un gruppo amatoriale, per la comunità francese della capitale. Un giorno, del tutto casualmente incrocia la strada di Janet Lee, ex signora Bouvier, risposata Auchinloss, ma, soprattutto, madre di Jacqueline, giovane vedova del presidente Kennedy, con due bambini da crescere, Caroline e John John. Essi pensano che la tata friulana sarebbe stata perfetta.
“Mi trovavo in Svizzera per le vacanze di Sybille – prosegue Marta – e vi ricevetti una lettera di Jacqueline Kennedy che mi formalizzava una proposta di assunzione. Io ero titubante, Sybille era ormai cresciuta, ma ritenevo di fare parte della sua famiglia. Il console e sua moglie mi dissero: ‘c’è gente che pagherebbe per andarci e tu che saresti pagata vuoi rifiutare?’ Nel frattempo Madame si era sposata con Mister Onassis e, così, decidemmo di temporeggiare fino a primavera, quando loro sarebbero venuti a Parigi ed io mi sarei trovata là. Mi convocò il signor Onassis per un colloquio: lui, io e basta, per un paio d’ore. Mi parlò in francese. Fu molto simpatico e concluse proponendomi: vai con i bambini, se non funziona ti prendo io sul Cristina come hostess per ricevere gli ospiti, organizzare le feste e i pranzi. Mi piaci e un lavoro l’avrai comunque.”
Era il 1968 e Jacqueline Kennedy, ormai divenuta Onassis, si è trasferita a New York nell’attico di 18 stanze sulla Quinta Strada, a due passi dall’Empire State Building. “Partii in settembre da Barcellona – racconta Marta Sgubin – ma la destinazione fu Hammersmith Farm, la casa della nonna Janet a Newport, dove si trovavano i bambini. Era domenica e dissi a Pachita, la cameriera del console, di non cambiare le lenzuola del mio letto perché tanto sarei tornata”.

FIDUCIA. Jacqueline, giovane vedova del presidente Kennedy, con due bambini da crescere, Caroline e John di 10 e 7 anni, riteneva che una governante friulana che parlava correttamente italiano, francese e inglese sarebbe stata perfetta. Così, nel 1969 la Sgubin si trasferì a New York dove l’ex First Lady, ormai signora Onassis, abitava in un attico di 18 stanze sulla Quinta Strada.
“Madame – rivela ancora Marta – aveva fatto un patto con me. Ai bambini avrei dovuto parlare soltanto in francese. John non capiva e non voleva capire. Un giorno, però, scoprì che io sapevo l’inglese. Da quel momento mi disse: Forget it!, scordatelo, e fu la fine del francese. Era furbo, un’adorabile peste, ma era capace di farsi perdonare, sempre. Mi occupavo dei bambini, che intanto crescevano, in tutto e per tutto. Madame era spesso in viaggio e Mister Onassis alternava soggiorni di un mese a New York a lunghi periodi di assenza. Avevamo a disposizione aerei privati, elicotteri, barche, case favolose ed io, a volte, mi domandavo: ma si può davvero vivere così? Un giorno siamo arrivati ad Atene John, suo cugino Anthony Radziwill ed io. All’aeroporto ci aspettava con un elicottero Alexander, il figlio di Mister Onassis, che sarebbe morto due anni dopo. Si volevano bene Alexander ed i miei ragazzi.”
“John rimase molto scosso dalla sua scomparsa. Era la prima volta che riviveva una tragedia dopo quella di suo padre, anche se del presidente Kennedy l’unica cosa che ricordava veramente era quando lo faceva giocare sollevandolo per aria. Con loro ho viaggiato in tutto il mondo: Messico, Porto Rico, Egitto, Sardegna, Monaco e da ogni parte c’era sempre lo yacht Cristina o un aereo che aspettavano. Sono stata in crociera con Winston Churchill e con Audrey Hepburn quando era sposata con il medico italiano, Andrea Dotti. Non sembrava lavoro.”
Dal 1975, alla morte di Aristotele Onassis, le vie di Jacqueline e di Cristina, sopravvissuta al fratello Alexander, alla madre Tina Livanos e al padre, si separarono per sempre. Jackie venne riaccolta dall’America come si usa con un figliol prodigo e lei
ritornò alle vecchie abitudini e Marta si trasformò da bambinaia di John e Carolina in governante di Jacqueline, assistendo alla nascita di un nuovo sentimento per Maurice Tempelsman, l’uomo d’affari che l’ha accompagnata fino agli ultimi anni di vita, quando è stata stroncata dalla malattia alle ghiandole linfatiche.
“Era Madame che faceva coraggio a me”, ricorda quasi commossa la fedele Marta. Nel 1994, all’apertura del testamento, la Sgubin ricevette 125 mila dollari da “Madame” e pure alla morte di John, avvenuta cinque anni più tardi, Marta figura fra gli eredi come destinataria di un vitalizio mensile: if she will survive me, se mi sopravviverà, c’era scritto nel documento. “Non avrei mai immaginato che John mi nominasse nella sua eredità. Aveva appena 30 anni”, conclude.