Edorado Cecchin emigrato nel 1948 in Argentina. Durante la guerra venne arruolato nella Tod ma riuscì a fuggire.
di RENATO CECCHIN
Questa che vi voglio rappresentare è la storia di un profondo legame fra la mia famiglia che vive a Monfalcone con i familiari le cui radici sono incardinate all’estero, fra Australia, Spagna e soprattutto Argentina. Vicende che hanno origine con il nonno Giuseppe Cecchin nel 1866. Le immagini e i documenti che ho rintracciato attraverso un’accurata ricerca possono farci da bussola in questo percorso a ritroso nelle esperienze dei miei corregionali sparsi per il mondo.
Capofila, dunque, della nostra dinastia è Giuseppe Cecchin, nato nel 1886 e deceduto nel 1962, sposato con Angela Fabris, nata nel 1869 e deceduta nel 1946. Ebbero undici figli fra i quali mio padre Alberto, sesto nell’ordine genealogico, nato nel 1901 e sposato con Pierina Ginaldi nata nel 1903. Una suggestiva immagine del tempo ritrae il nonno e la nonna con una parte della famiglia, compreso mio padre Alberto (l’ultimo a sinistra in braccio a mia nonna). Mio padre Alberto ebbe tre figli, il sottoscritto, Liliana ed Edoardo che è il capofila dell’esperienza in Argentina. Seguiamone, quindi, la storia.

NELLA FOTO. Da destra: Caterina Cecchin, Luigi, Giuseppe, Giovanni, Carmela, Barberina, Angela Fabbris con in braccio Alberto Cecchin.
Edoardo, nato a Pirano, arriva con i genitori a Monfalcone nel 1925. Finite le scuole dell’obbligo va a lavorare ai cantieri navali all’età di 15 anni. Quando scoppia la seconda Guerra Mondiale, a 18 anni, viene arruolato nella Tod, il reparto tedesco antiaereo. Di notte fugge dalla caserma, che era sistemata presso le case Sovey, e si unisce alla compagnia partigiana operante sul Carso, alle spalle di Trieste. Per molti mesi i familiari non ebbero più notizie sino che non appresero che era ammalato e stava nascosto nella casa di un amico. Pertanto, mio padre decide di andare a prenderlo con un furgone, rischiando i posti di blocco tedeschi e venne nascosto in casa sino al 25 Aprile, data della Liberazione.
Finita la guerra, Edoardo riprende il lavoro e trascorre un periodo sereno e felice, conosce Lidia, dipendente anch’essa dal cantiere, si fidanza e nel 1948 si sposa alla chiesa della Marcelliana. Ma le condizioni reddituali non sono floride e Edoardo e Lidia decidono di emigrare in Argentina, accogliendo l’invito degli zii che già erano residenti in quel Paese. Partirono l’8 dicembre da Genova per sbarcare a Buenos Aires dopo 27 giorni. Nel 1949 nasce la loro prima figlia Clara.

RICORDI. Dall’album dei ricordi di Renato Cecchin foto storica di Edoardo con i suoi familiari.
In Argentina il lavoro non manca: Edoardo realizza un’impresa con 50 operai per costruire “bordure” per automobili. Nel 1951 nasce la seconda figlia Liliana e nel 1957 Alberto. Sembra arrivato il momento per rientrare nella città d’origine con un pensiero all’idea di un rimpatrio definitivo. Siamo nel 1966, Monfalcone non è la realtà lasciata nel 1948 e le opportunità, in quel momento, non sono adeguate. Nei tre mesi in cui rimangono in Patria, matura il desiderio di restare, i figli si sentono pienamente italiani.
Ma il giorno della partenza, Edoardo mi dice “vedrò, ci penserò…” e poi decide di ritornare in Argentina. Passano gli anni, i figli crescono, si sposano a loro volta, nascono i nipoti. Si sono integrati nel nuovo Paese, in Argentina. Da quel giorno del 1966 non ho più rivisto mio fratello: è morto a Buenos Aires il primo dicembre del 1992. La sua famiglia si è ingrandita il nucleo originale si è allargato, sono diventati undici con cognomi diversi. Rimango in contatto con i nipoti diretti, ma i rapporti inevitabilmente si affievoliscono…
Penso… non voglio pensare!

RICORDI. Dall’album dei ricordi di Renato Cecchin foto storica dei figli di Edoardo Cecchin.
Da Ushuaia a La Quiaca, dalle Ande a Capo Polonio
Era poco dopo la metà del 1870 il tempo delle prime partenze: la Costituzione del 1853 dell’Argentina, nella consapevolezza dell’esigenza di attrarre nuovi residenti, contemplava già di assegnare i benefici della libertà e dei diritti civili a tutti coloro che avessero voluto venirvi ad abitare.
Monsignor Luigi Ridolfi, nel libro Friulani d’Argentina, sostiene che nel biennio 1877-1879 emigrarono ben seicento famiglie friulane. Il governo argentino offriva la proprietà di circa 100 ettari di terra a coloro che avessero voluto lavorarla: fu questa la spinta che portò dalla nostre campagne i primi nuclei di contadini.

MOSTRA FOTOGRAFICA. Foto raccolte per la mostra Da Ushuaia a La Quiaca, dalle Ande a Capo Polonio. Famiglia Fontanot, Ronchi dei Legionari (1930). Fonte Ammer.
Già nel 1878 i giornali La Nación e La Prensa descrivono gli arrivi in massa degli italiani, quasi milleduecento persone al giorno! Venivano raccolte provvisoriamente nell’Hotel de Emigrantes al porto di Buenos Aires, in attesa di essere smistate verso l’interno del paese.
Nella nuova nazione, portarono le capacità di lavoro, fondarono colonie a Resistencia, Avellaneda, Colonia Caroya, Formosa, San Benito, Sampacho. Non solo agricoltori, però, arrivarono molte professionalità in cerca di fortuna carpentieri, fornaciai, muratori molti dei quali diventarono imprenditori edili, diretti verso Cordoba, Rosario, Santa Fe, Buenos Aires, sino al luogo considerato il più lontano del mondo Ushuaia.
Un mostra, a suo tempo realizzata da Antonio Giusa ha recuperato le immagini di questa immigrazione e le fotografie che i corregionali portarono nelle loro valige dai paesi di partenza.

MOSTRA FOTOGRAFICA. Foto raccolte per la mostra Da Ushuaia a La Quiaca, dalle Ande a Capo Polonio. Paolo Marcuzzi, provincia di Udine (1930 ca.). Fonte Ammer.