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9 March 2025
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Le idee e le culture dell'emigrazione

Direttore: Lucio Gregoretti

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Categoria 9 Qui Argentina 9 Ricominciare in capo al mondo

Ricominciare in capo al mondo

Ricominciare in capo al mondo

Il 2 settembre 1948 a San Giorgio di Nogaro undici muratori davano l’addio a parenti ed amici. Mille speranze accompagnarono questo gruppo verso la Terra del Fuoco.

di GIORGIO COIANIZ

Ushuaia è la capitale della provincia argentina della Terra del Fuoco ed è ritenuta la città più australe del nostro pianeta. Molti dei cognomi, tra le oltre sessantamila persone che vi abitano, rivelano un’origine italiana.

Nel territorio freddo ed inospitale di Ushuaia gli insediamenti iniziano nel 1800 (truppe britanniche occupano Buenos Aires per brevi periodi nel 1806-7) quando coloni inglesi si aggiungono all’esigua popolazione di indigeni che vi abita da oltre 6.000 anni. Nel 1871 si stabilisce una missione anglicana che si sostituisce agli originari abitanti.

Il governo argentino decide, nel 1884, di inviare un presidio militare per appropriarsi del territorio che va popolandosi di cercatori d’oro. Il radicamento di una popolazione argentina avrebbe posto fine alle rivendicazioni da parte cilena sulla Terra del Fuoco, disabitata e divisa tra due nazioni. Così nel 1902 viene trasferita ad Ushuaia una prigione militare ed i detenuti partecipano ai lavori di costruzione della città come coloni forzati.

Nonostante l’arrivo di numerose famiglie di origine croata, la popolazione supera di poco i mille abitanti ed il carcere rimane l’edificio più importante. Solo nel 1947, dopo la decisione di chiudere il penitenziario, si inaugura un piccolo aeroporto e finalmente lo Stato decide di intraprendere un piano di sviluppo organico. Così il governo di Juan Peron, nel 1948, accetta il piano presentato dall’imprenditore emiliano Carlo Borsari che prevede di costruire abitazioni, industrie ed infrastrutture in quella terra di frontiera.

Ushuaia, “la fine del mondo"

USHUAIA. Ushuaia si trova all’estremità meridionale dell’Argentina, nella Terra del Fuoco, soprannominata “la fine del mondo”. È edificata su una collina scoscesa ed è circondata dai monti Martial e dal canale di Beagle.

Ushuaia nella Terra del Fuoco

Borsari non risulta difficile reclutare manodopera in Italia, visto che per molti lavoratori l’emigrazione è divenuta una scelta obbligata. L’imprenditore comincia così a pianificare ogni dettaglio della spedizione e dell’urbanistica della città che sarebbe nata dal nulla. Terminata la concitata quanto laboriosa fase dei preparativi, la motonave Genova, il 26 settembre del 1948, può finalmente salpare. Stavolta non si va a chiedere un amaro pezzo di pane ma si offre una collaborazione degna ed organizzata. Così almeno pare.

Anche a San Giorgio di Nogaro nel 1948 non si trovava lavoro e più di 600 erano i disoccupati. La ricostruzione dopo la seconda Guerra Mondiale stentava a partire e De Gasperi, col suo ministro Einaudi, era appena riuscito a frenare un’inflazione che stava per divenire drammatica. Benigno Taverna, nella primavera del 1948, riceveva la visita di una sua zia, tale Mariana Fornezza. Costei era appena arrivata col treno da Bologna dove, in qualità di infermiera, frequentava anche la casa di un industriale emiliano: Carlo Borsari.

“Caro nipote finalmente rientro qualche giorno a San Giorgio, da tempo non rivedo il mio paese. Anche l’industriale è partito per l’Argentina e starà fuori qualche settimana, così approfitto per un po‘ di riposo. Pare sia in corso una spedizione importante per costruire in Terra del Fuoco una piccola cittadina tutta nuova”. Il Benigno buon muratore e particolarmente incuriosito dalla novità chiedeva: “Senti zia, non potresti chiedere al ‘to paron’ se per caso non abbia bisogno di una squadra di muratori friulani per questo lavoro?”.

Passa un mese ed arrivava una lettera da Bologna: “L’impresa Borsari offre la possibilità di lavorare in Argentina previo visita medica e la firma del contratto di lavoro. Inviare nominativi e brevi notizie di specializzazione degli aspiranti.” Benigno spargeva la voce ed in breve tredici sangiorgini si dichiaravano disponibili per l’avventura. Partivano le domande nominative ed il mese di luglio erano chiamati a passare la visita medica a Bologna.

 

Nel treno salivano: Taverna Benigno (1920), Taverna Ernesto (1910), Taverna Giacomo (Mino, 1924), Scolz Giorgio (Toni, 1923), Tamburlini Nicola (1922), Nardini Bruno (Lolo, 1921), Zaninello Duilio (1923), Bigotto Renzo (1923), Moro Angelo (Gin, 1920), Gorza Edi (1926), Cristin Rizieri (1925), Buzzolo Fermo e Sguassero Valentino. Mille pensieri e mille speranze accompagnavano questo gruppo sino all’ingresso dell’ambulatorio clinico. Alcuni di loro erano appena rientrati dalla Francia e gli altri speravano finalmente di poter dare una svolta alla loro vita. Il “peso” argentino era ancora una valuta pregiata e l’avventura un richiamo irresistibile.

Non sapevano ancora che i loro nomi erano passati al vaglio del parroco di San Giorgio e che, essendo per la maggior parte di sinistra, il sacerdote aveva probabilmente dato il via libera solo su intercessione del fratello di Benigno, Annibale. La politica immigratoria peronista prevedeva, infatti, una serie di indagini e controlli per impedire l’arrivo di simpatizzanti di sinistra in Argentina. Alla fine delle visite due risultavano non idonei: Buzzolo Fermo e Sguassero Valentino.

Durante il ritorno, da un lato la contentezza per l’ingaggio avvenuto e dall’altro l’amarezza per i due amici che non potevano partire. Rizieri Cristin: “Buzzolo Fermo (Belo) venne scartato con la scusa di aver le mani piccole; attivista del partito comunista non riuscì, invece, a passare la selezione politica”. In tutti i casi non era un viaggio allo sbaraglio, poiché c’erano un contratto sicuro, il biglietto pagato ed un’organizzazione logistica. Il 2 settembre 1948 davanti il municipio di San Giorgio di Nogaro undici muratori davano l’addio, o l’arrivederci, ai rispettivi parenti ed amici.

Il giorno 25 settembre, vigilia della partenza, grande confusione. Il console generale argentino in Italia, Augusti, voleva negare i visti agli ultimi otto italiani in partenza ed, anzi, fosse stato per lui “avrebbe mandato all’aria l’intera impresa Borsari”. Tutto il consolato argentino riteneva che il loro paese fosse stato offeso da due giornali italiani, i quali avevano pubblicato corrispondenze sulla partenza dei bolognesi e friulani. Una testata di Milano aveva scritto che gli italiani “vanno a colonizzare la Terra del Fuoco” e su un’altra di Genova veniva riportato che “cento nuclei famigliari vanno a portare la civiltà in una terra in gran parte vergine. Sanno che lassù troveranno uomini ancora vestiti con le pelli degli animali, con i volti dipinti e gli amuleti intorno al collo ecc.”.

Il console pretendeva una smentita a livello nazionale. “In Argentina, dice, non ci sono selvaggi, ma operai che attendono altri operai per lavorare. Gli argentini hanno la radio e la televisione e non sentono il bisogno di essere civilizzati, né l’Argentina permette che si colonizzino le sue terre.”  Solo la diplomazia del conte Geppe Rossi convinceva il console a calmarsi ed a concedere gli ultimi otto visti e comunque… “l’Argentina non mancherà di protestare presso il governo italiano per il contegno irriguardoso di certa stampa italiana”.

I sangiorgini in partenza per Ushuaia

IN CAPO AL MONDO. I sangiorgini in partenza per Ushuaia. Da sinistra in piedi: Renzo Bigotto, Benigno Taverna, Duilio Zaninello, Giorgio Scolz, Bruno Ardini, Edi Gorza, Rizieri Cristin. Seduti da sinistra: Ernesto Taverna, Annibale Taverna, Maria Sguazzin e Nicola Tamburlini. 1948.

Arrivo ad Ushuaia, 28 ottobre 1948

IN CAPO AL MONDO. Arrivo ad Ushuaia, Terra del Fuoco, 28 ottobre 1948.

 

Benigno Taverna: “Il giorno della partenza ricordo con un po‘ di commozione il momento in cui il cantante Luciano Tajoli, mentre la nave scioglieva gli ormeggi, intonò sul pontile Vanno, una canzone dedicata agli emigranti. Molti piangevano.” In realtà sulla nave si imbarcarono: 2 calabresi, 13 piemontesi, 29 marchigiani, 7 toscani, 2 pugliesi, 89 veneti, 11 lombardi, 220 emiliani, 2 sardi, 10 siciliani, 5 molisani, 9 liguri, 1 abruzzese, 2 campani, 27 umbri, 5 romani, 12 trentini, 145 friulani, 8 dalmati e 19 stranieri, in totale 618 persone, come emerge dai Registri della Dirección Nacional de Migraciónes, nel libro Da Bologna al fin del mundo, di R.M. Travaglini.

I sangiorgini avevano stipulato un contratto che li legava alla Borsari per due anni, il tempo cioè per montare le case prefabbricate per il primo nucleo di famiglie che dovevano fermarsi stabilmente ad Ushuaia e per iniziare gli altri ambiziosi progetti. In seguito, eventualmente, potranno rinnovare il prolungamento delle loro prestazioni edili. Tutto questo era stato stabilito dall’accordo italo-argentino del 26 gennaio 1948 e chi non lo rispettava perdeva i benefici di migrante ed era obbligato a risarcire il prezzo del passaggio marittimo.

Ma per una volta tutti questi italiani della “Genova” non erano solo emigranti ma anche personale alle dipendenze di una ditta italiana che lavorava all’estero. Quando molti dei sangiorgini si trasferiranno da Ushuaia a Buenos Aires, troveranno fatalmente le spietate condizioni di vita dettate dal mendicare lavoro ed ospitalità che per decenni tutti i nostri connazionali hanno subito.

Estratto della lettera della Casa Speciale Marittima

DOCUMENTO. Estratto della lettera della Casa Speciale Marittima, ente riconosciuto dal Segretariato per l’Emigrazione in Argentina, con la quale la società comunicava all’interessato il buon esito dell’iter per il trasferimento in quel Paese.

 

Fu il navigatore portoghese Magellano nel 1520, come riferisce Pigafetta nella sua relazione di viaggio, a decidere di battezzare la zona più meridionale del Nuovo Mondo con un nome curiosamente in contrasto con la natura gelida e nevosa del territorio. Magellano navigando notò dei fuochi brillare nella notte lungo la sponda e, immaginando che fossero stati accesi da esseri umani, adottò per questo territorio il toponimo “Tierra de los Fuegos”. Per alcuni studiosi, invece, Magellano l’aveva chiamata “Terra de Humo”, Terra di Fumo, ma all’imperatore spagnolo Carlo V questo nome non piaceva del tutto e lo mutò in “Terra del Fuoco”.

Oggi i primitivi popoli fuegini sono totalmente scomparsi. In epoca precolombiana essi erano circa 10.000 (5.000 Alacaluf, 2.500 Yahgan, 3.000 Ona e qualche centinaio di Haus) e tali si mantennero sino alla metà dell’800 quando, con l’introduzione della navigazione a vapore, lo stretto di Magellano divenne un’importante via di comunicazione e lungo le coste si costruirono dei fari e qualche anno dopo anche un porto per scaricare il carbone.

Dopo i primi contatti amichevoli i bianchi si abbandonarono ad ogni forma di violenza. Anche gli interventi dei Salesiani, che pur si battevano per difendere gli Alacaluf dai soprusi, finirono col dimostrarsi controproducenti, poiché gli indigeni, già indeboliti dalle bevande alcoliche e spinti ad abbandonare il loro sistema di vita nomade per concentrarsi sulle missioni, vennero in pochissimo tempo falcidiati dal rapido diffondersi di malattie infettive (influenza, sifilide e molte altre legate al sangue).

Nei decenni a cavallo tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 erano rimaste in vita approssimativamente alcune centinaia di indigeni. L’ultima Ona di razza pura è morta nel 1966. Per gli Haush ne venivano segnali solo tre già nel 1924. Anche gli Yahgan sono scomparsi e la vecchia sotto ritratta nel 1970 era l’ultima della sua etnia. Gli Alacaluf hanno subito lo stesso destino. Nel 1967 il governo cileno ha provveduto alla costruzione, a Puero Eden nell’isola di Wellington, di otto capanne di legno per accogliere l’ultimo gruppo di 50 di questi indigeni. Vent’anni dopo queste persone da uomini liberi erano ormai mendicanti. Attualmente il meticciato ha definitivamente messo la parola fine anche all’ultimo Alacaluf.

Ultima vecchia Yahgan

YAHGAN. Ultima vecchia Yahgan e, sotto, una famiglia di indigeni Yahgan. Gli Yahgan rapprsentano un gruppo di popolazioni indigene del Cono Meridionale Il loro territorio tradizionale comprende le isole a sud di Isla Grande de Tierra del Fuego, estendendo la loro presenza fino a Capo Horn, rendendole la popolazione umana più meridionale del mondo.

Famiglia di indigeni Yahgan

Il contratto era stato firmato il 30 giugno 1948 da Carlo Borsari e dal contrammiraglio Mario Negrete, direttore delle Costruzioni Terrestri del Ministero della Marina che, nel quadro quinquennale di Peron, aveva deciso di dare inizio ad una serie di lavori per trasformare Ushuaia. Così, assieme ad una stazione turistica, si costruirà anche una base aero navale a guardia della soglia dell’Antartide.

Il piano dei lavori comprendeva un albergo di lusso, strade, aeroporto, autorimesse, mattatoio, frigorifero, attrezzatura portuale, case, ville ed abitazioni, acquedotto e centrale elettrica. Inoltre la marina argentina aveva già costruito tre stazioni navali artiche. Nel 1914 Ushuaia aveva 1.558 abitanti dei quali 639 argentini, 478 spagnoli e 156 italiani, più qualche cileno. Nel 1947 gli abitanti erano 2.182 con 419 europei.

28 ottobre 1948. Arrivo ad Ushuaia, Terra del Fuoco.

Pioveva. Il freddo canale di Beagle era alle spalle e la motonave “Genova” attraccava alla banchina del porto di Ushuaia. Qui, nel profondo sud del mondo, la temperatura media dell’anno era di 5 gradi. Così ricorda Cristin Rizieri: “Faceva freddo e pioveva. Ma tutti eravamo sulla tolda a curiosare per renderci conto del territorio in cui sbarcare. Anche i bambini volevano finalmente correre sulla terra ferma e dovunque si avvertiva l’ansia da sbarco. Ma pioveva e tirava un forte vento. C’erano delle autorità argentine ad accoglierci tra cui due ammiragli giunti in volo da Buenos Aires. Un piccolo gruppo di persone agitava le braccia in segno di saluto. Erano la ventina di italiani che già vivevano ad Ushuaia.”

Continua Benigno Taverna: “La baia si estendeva per parecchi chilometri ai piedi di alte montagne (ultime propaggini delle Ande) dai fianchi ricoperti da vasti boschi di conifere. Ushuaia era un paesino di circa 2.000 persone disteso tra mare e montagne e composto, tolti quattro fabbricati in muratura, di baracche di lamiera e legname. Il terreno che circondava l’abitato appariva molto fertile, ma non era coltivato, poiché tutti si dedicavano solamente all’allevamento delle pecore e del pollame e raramente a quello bovino poiché non si facevano gli sfalci della poca erba presente”.

Prosegue: “Pochissimi gli automezzi in circolazione e traino e trasporto erano riservati ai cavalli. Una piccola ferrovia serviva solamente allo spostamento dei tronchi dal centro di raccolta alla piccola segheria e centrale elettrica già funzionanti.” Giorgio Scolz annota: “Ci fu un momento di particolare tristezza per tutti noi, quando sbarcarono la bara con il corpicino del piccolo Enzo Fava di appena dieci mesi. Era morto sulla nave per delle complicazioni.”

Cartolina storica di Ushaia

USHUAIA. Una cartolina storica di Ushaia. La città si trova a 54 gradi di latitudine sud, in Patagonia.

 

Dal diario di Taverna Giacomo (Mino): “Ricordo molto bene il mio incontro con quello che, con i suoi 90 anni, credo sia stato il più vecchio italiano presente nel 1948 nella Terra del Fuoco. Camminavo assieme a Nicola Tamburlini sulla strada sterrata proprio al confine della piccola Ushuaia. Alcune persone ci avevano indicata una piccola baracchetta di legno e bandone quale abitazione di un vecchio italiano. Trovammo Francesco Scarfò a letto, seduto, con le gambe ricoperte da una imbottita. Attorno alla baracca un piccolo campo ricoperto da un enorme quantità di bottiglie e scatolette vuote. All’interno in due stanzette c’era di tutto: provviste, selle da gaucho, fucili da caccia, stivali di gomma, coltelli, due cani e qualche damigiana.”

“Ricordo ancora quella faccia serena di uno che attende la morte. Scarfò, il volto cosparso di petrolio (vecchio rimedio contro il vento del sud che screpola la pelle, ci spiegò in seguito) e dopo la reciproca presentazione, ci disse di essere arrivato nella pampa Argentina nel 1896. Disgraziatamente uccise un uomo nel 1908 e fu condannato a trent’anni di carcere nel 1913. Fu graziato nel 1922. Da forzato aveva lavorato proprio in quel campo che ora era suo e, una volta libero, aveva preferito rimanervi per sempre, ottenutolo in proprietà dal governo.”

“Ci disse di essere nato a Reggio Calabria e, molto commosso, si esprimeva metà in spagnolo e metà in calabrese. Aveva ucciso quell’uomo perché gli aveva rubato un cavallo con tutta la sella e le staffe d’argento. L’uomo, dopo il furto, lo derideva, lo picchiava ed insultava. Dopo l’omicidio, Scarfò si difese poco e male e fu mandato nella prigione di Ushuaia e graziato per buona condotta dopo nove anni. La popolazione prese a volergli bene e ora, caduto malato, la sua capanna era stata riempita di doni di bottiglie di liquori, Fernet e grappa messicana. Sembrava addolcito dall’età e parlava di sé assassino come di un morto.”

“Il vecchio era rimasto commosso dall’arrivo della nostra spedizione italiana al punto di ospitare due di noi, i fratelli Battaglia di Ancona, in una casuccia meglio della sua, costruita pure da lui, al limite della proprietà. Parlava anche di 25.000 pesos che nascondeva non ricordo se in casa od in banca. Quando, dopo un’ora, lo lasciammo sembrava dover morire la notte stessa. Il giorno dopo lo vedemmo a cavallo, galoppare nella pioggia, a volto chino.”

Neve a Ushaia

INVERNO. Una suggestiva immagine del tempo di Ushaia sotto la neve. Le nevicate si verificano generalmente da aprile a novembre. Il clima è ventoso e instabile. Le piogge sono frequenti tutto l’anno.

 

Passati otto mesi dallo sbarco ad Ushuaia gli undici sangiorgini si riunirono nella baracca per decidere della loro sorte. Il clima inospitale e soprattutto la svalutazione del peso spingevano a tentare alternativa fortuna. Solo Benigno ed Ernesto Taverna volevano rimanere ancora. C’era ancora molto lavoro. Si dovevano costruire altri 141 alloggi economici per l’arrivo di un nuovo contingente di operai dall’Italia e dei loro numerosi familiari ed i lavori per la centrale idroelettrica sul fiume Olivia erano a buon punto (impianto in seguito rivelatosi inutilizzabile per l’insufficiente pressione dell’acqua), così come lo scavo di un grande canale per provvedere al rifornimento idrico di Ushuaia, che nel frattempo aveva raddoppiato gli abitanti. Stava per entrare in funzione anche una fabbrica di legno compensato che occupava quasi esclusivamente manodopera femminile.

Ma non erano solo i sangiorgini a pensare di abbandonare l’impresa. Molti delusi erano già partiti e molti altri in procinto di farlo. Necessitavano quindi i ricambi. Partirono tutti e rimanevano nella Terra del Fuoco i due Taverna, Ernesto e Benigno. Il primo, a cui incredibilmente l’ambiente piaceva molto, aveva già fatto richiesta di congiungimento famigliare ed infatti, con i nuovi pionieri del settembre1949, sbarcavano anche sua moglie Gioconda (Ofelia), la figliuola di meno di due anni ed il padre Romano (che, non sopportando la rigidezza del clima, sarà costretto a rimpatriare qualche mese dopo).

Da quella nave scendeva anche la zia di Benigno, Mariana Fornezza, la stessa che aveva aiutato per l’ingaggio i sangiorgini all’inizio della storia. Costei, quale infermiera, prestava così servizio nel piccolo ambulatorio di Ushuaia sino al 1953, data del suo rientro in Italia dove, poco dopo, moriva. Benigno resisteva sino alla fine del 1951 e rientrava in Patria con il viaggio inaugurale della motonave “Giulio Cesare”. Ernesto Taverna fu l’unico che stabilmente si fermerà ad Ushuaia. Negli anni cinquanta rileverà in affitto, assieme ad un socio argentino, un hotel con annesso cinema. Muore nel 1987 senza rivedere l’Italia e la figlia Maria vive ancora ad Ushuaia in via Tekenica n. 183.

Amico, se per ferie o per lavoro passi per la Terra del Fuoco fermati a questo indirizzo e dai un bacio a questa tua sorella così lontana e così dimenticata.

Ushuaia, primavera 1949

USHUAIA. Primavera 1949. Lavori per il nuovo acquedotto e per la bonifica dei terreni.

 

Sin dal 1877 i friulani delle classi subalterne partono cercando di prendersi la loro grande rivincita. Avviliti ma speranzosi si imbarcano per il Sud America, portando con sé il patrimonio culturale della propria civiltà contadina e della propria gente che ancor oggi, ad un secolo e mezzo di distanza, caratterizza i loro discendenti e mi permette di affermare che al di là dell’Atlantico c’è un altro Friuli. Quel Friuli di millenaria storia che forse per la prima volta ha visto i suoi poveri protagonisti in prima persona.

Ancora oggi per molti di noi l’essere friulani è vissuto in senso negativo, da una parte, sentendoci vittime di sottovalutazione e disattenzione da parte delle pubbliche istituzioni e, dall’alta, manifestiamo orgoglio anche spropositato per la nostra “friulanità”, vissuta non come ovvia diversità ma quasi come unicità o primato rispetto ad altre realtà nazionali. Forse questa mia breve sintesi aiuta un po’ a ristabilire una visione senza pregiudizi su noi stessi e sulla nostra storia, specie quella non così lontana da non poterne recuperare le tracce in modo diretto.

Tutti dovremmo conoscere le vicende dell’emigrazione per valutare con cognizione di causa il prezzo dell’allontanamento in termini anche di umiliazioni e sofferenze ed il sottoscritto, anche se non sempre in forma diretta, è contento di aver fornito questa modesta occasione. 

 

Terra del Fuoco

Ushuaia, capoluogo della Terra del Fuoco, è una città fondata nel 1947, perché l’Argentina voleva ribadire la sovranità sull’Isola Grande, oggetto di aspre dispute con il Cile. L’unica struttura sull’ isola era un vecchio penitenziario in quanto ex colonia penale. Si dovette partire da zero: case, strade, ospedale, scuola, centrale idroelettrica.

Ad organizzare la spedizione fu Carlo Borsari, un imprenditore edile bolognese che convinse il governo argentino di saper operare con le sue maestranze anche in climi molto rigidi. Nella primavera del 1948 il presidente Peròn firmò il decreto che gli attribuiva la commessa.

Il 26 settembre 1948 salpò da Genova l’omonima nave “Genova” e il 28 ottobre arrivarono a Ushuaia questi primi connazionali, un gruppo di 618 italiani, 505 uomini e 113 donne. A questo primo contingente, il 7 settembre 1949, seguì un secondo di 528 persone, 253 maschi e ben 275 femmine: furono molti, infatti, i ricongiungimenti familiari.

La maggioranza di questi 1.146 emigranti complessivi proveniva dalle province di Udine, ben 282, e di Bologna, 252, cui seguivano 97 veronesi, 84 perugini, 63 bellunesi, 60 pesaresi e gruppi meno consistenti originari di molte altre province italiane, dalla Sicilia al Piemonte.

138° Anniversario di Ushuaia

USHUAIA. Giovani della Società Italiana di Ushuaia sfilano il 12 ottobre 2022 nel 138° Anniversario della Città.

Si trattò di un numero molto elevato perché allora Ushuaia contava poco più di 2.100 abitanti. Il progetto di popolamento della città più australe dell’Argentina rappresenta uno dei pochi tentativi (forse l’unico) di emigrazione organizzata italiana del secondo dopoguerra.

L’iniziativa seguì di pochi mesi gli accordi sottoscritti tra i governi argentino e italiano, il 21 febbraio 1947 e il 26 gennaio 1948, che prevedevano facilitazioni per l’emigrazione di cooperative o di altri nuclei lavorativi.

La creazione della Comisión Nacional de Radicación de Industrias, nel febbraio del 1948, agevolava inoltre i trasferimenti delle imprese straniere e semplificava il rilascio dei permessi delle maestranze al seguito.

Le nostre imprese sfruttarono appieno i vantaggi di questa opportunità argentina: nel 1949, per esempio, le aziende italiane insediatesi in Argentina furono 88 con ben 24 mila dipendenti. 

 

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