Crisi agricole, mondo rurale e flussi migratori. Memorie storiche dal Catapan della Pieve di Santa Maria Annunziata di Flambro.
di MARIO SALVALAGGIO
Nell’opinione pubblica, e probabilmente nei libri di storia, l’estate del 2022 sarà ricordata come quella della “grande siccità”, effetto dell’assenza, fra maggio e agosto, di precipitazioni piovose a fronte di alte temperature. Ovviamente a farne le spese sono state in modo particolare le produzioni agricole, specie in regioni come il Friuli Venezia Giulia, nelle quali la specializzazione delle coltivazioni e la qualità sono il marchio distintivo, piuttosto che la quantità. Basti pensare alla viticultura.
In passato, mancando idonei impianti tecnologici, le crisi agricole erano una delle cause dei flussi migratori dei nostri corregionali nel mondo. L’emigrazione italiana sin dall’inizio del fenomeno fu soprattutto connessa al mondo rurale, anche in considerazione che il nostro Paese aveva una composizione sociale prevalentemente legata al lavoro della terra. Le precarie condizioni di vita delle classi rurali (piccoli proprietari, affittuari, mezzadri, braccianti, salariati e avventizi) periodicamente erano messe a dura prova dalle crisi delle produzioni agricole dovute a molteplici cause.
Se si analizza il problema della siccità si devono prendere in considerazione due aspetti: l’excursus storico e i possibili rimedi. Partendo da una realtà esemplare, quella di Flambro, che si colloca al centro della pianura del Basso Friuli, lungo le linee delle risorgive, possiamo trarre un quadro storico delle vicende che hanno interessato il territorio per ricavare una chiave di lettura più approfondita della questione.
È di particolare interesse far conoscere ai lettori i cenni storici riportati nel “Catapan” della Pieve di Santa Maria Annunziata di Flambro, riguardante il fenomeno della siccità che nei tempi ha attanagliato il nostro territorio. Quanto riportato conferma la ciclicità secolare del fenomeno, che quindi non si debba attribuire esclusivamente ai cambiamenti climatici di questo periodo, che peraltro incidono ancor di più nell’intensità dell’evento.

SICCITÀ. Eloquenti immagini degli effetti della siccità nella zona delle risorgive. Agosto 2022.
Ecco i testi:
Giuseppe Bini –1727/1739 – Vicario Plebis Flambri 21 agosto 1732 – Processio generalis universae plebis flambri istituita est ad beata Verginis Gratiarum Utini ad pebendam pluviam: in qua intefeurunt cum Vicario Flambri, parochi Talmassoni et Bertioli, octo capellani, decem sacerdotes et quinquis clerici, populus ad duo millia et ultra, cum quinquiaginta crucibus et vexillis, vicarius cantavit missa et cadem die abundanter pluvit. Sex intortitia dono data sunt cadem ecclesiae Gratiarum: et statio crucium facta ad domini Sthefani de Utino.
8 Ottobre 1834 – Pievano, don Giuseppe Antonio Gressani. In quest’epoca si sono finiti di asciugar tutti i pozzi di Flambro, eccettuato quello in piazza. Furono asciugate pure le roie e fermi cinque mulini. In oggi si principiò a escavar un pozzo sulla piazza detta di Pordenon, e si lasciò aperto per più di due mesi, dal quale si andava ad attinger acqua per via di scale a mano. In tutti li paludi non vi era goccia d’acqua e per vederne a correre, doveasi andar fino alla campagna di Sterpo, di Flambruzzo, di Ariis. All’incontro nei anni 1814, 1815, 1816 era così alta la sorgente d’acqua che scaturiva nei fossi della campagna di Pozzecco ed a guisa di roia attraversava la Stradalta per venire nella via di San Giacomo, da lì a “Chiapolson” formando così l’origine del fiume Stella. In questo frangente vi si sono visti pescatori di Flambro e Bertiolo andar alla pesca di là della Stradalta. Sit ad perpetuam rei memoriam”.
19 Dicembre 1834 – Pievano, don Giuseppe Antonio Gressani. Oggi crollò il tanto benemerito pozzo della piazza di Flambro, dopo aver saziato d’acqua per due mesi interi la popolazione di Flambro, e di notte tempo, furtivamente anche molti di Galleriano, e di Pozzecco, e cadè per essere fuori di modo frequentato.
28 Dicembre 1834 – Pievano, don Giuseppe Antonio Gressani. Oggi il pozzo di piazza già da dieci giorni crollato si aperse, ed in pochi giorni si giunse ai pareti, o pozzali vecchi, i quali indicavano di esser stati colà posti da circa 200 anni. Si fece una specie di scalinata di terreno per discendere ad un piano di circa 8 piedi sotterra, ivi si piantò una armatura di tavole a guisa di pergolo, e da lì andavano ad attinger acqua tutti i Flambresi, come pure molti forestieri. Ogni tratto poi, che l’acqua andava abbassandosi, si aveva l’attenzione di profondar il buco, e così per sei mesi in seguito si ebbe la sorte di non penuniare mai d’acqua.

SICCITÀ. Eloquenti immagini degli effetti della siccità nella zona delle risorgive. Agosto 2022.
7 Maggio 1835 – Pievano, don Giuseppe Antonio Gressani. Oggi si finì di chiudere la fossa spaventosa del pozzo di piazza, che con un’armatura di tavole servì per attinger acqua provvisoriamente per mesi sei e più di questa popolazione; oggi si finì di tirarla sù in pozzo formale e di stabilirlo fino a terra, senza però fornirlo della verra e muro esteriore, perché si lascia a migliori epoche per la sua benemerenza, di compirlo tutto di pietra di lavoro.
25 Maggio 1835 – Pievano, don Giuseppe Antonio Gressani. Oggi prima rogazione fu fatta la processione per dove mai più si è fatta. Per la strada detta La Granda si proseguì per un mezzo miglio circa fuori della campagna di Maschis fino al sito che fu solita piantare la croce, avanti a cui cantossi l’evangelio, poi si passò nel campo di Dreis a ponente per l’alveo della roja e si continuò per linea retta, all’insù, fino al paludo della Brusada, e si venne fuori per la strada della Brusada. Si è fatto appunto per lasciar una memoria ai posteri del gran asciutto, e della bassezza d’acqua che regnò in quest’anno essendo cinque molini da 9 mesi a quest’epoca fermi e senza neppure aqua a sufficienza da bere. Sit ad perpetuam rei memoriam.
Vi sono poi i miei ricordi personali sul fenomeno della variabilità della risorgenza riguardanti il mio paese, Flambro. Nel 1957, per accedere alla nostra scuola elementare il comune dovette attivare un ponte provvisorio per sorpassare una roggia che scendeva dai fossati di Pozzecco e Galleriano. Nel 1966 l’acqua di sorgiva, scendendo dalla Stradalta, aveva allagato le vie del paese e la piazza della latteria era un lago. Nel 1989 la siccità aveva prosciugato tutte le rogge e si camminava nell’alveo delle stesse fino quasi a Sterpo.

SICCITÀ. Mulino Braida a Flambro prosciugato per la mancanza d’acqua. Agosto 2022.
Il lavoro della terra
La grande emigrazione italiana fu soprattutto legata alle campagne, e difficilmente avrebbe potuto essere altrimenti. L’Italia della fine Ottocento e per gran parte del Novecento aveva una composizione sociale in larga parte legata al lavoro della terra.
La cosiddetta “crisi agraria” fu uno dei segnali di un cambiamento epocale dell’agricoltura italiana: la tendenza alla suddivisione della proprietà terriera conseguente alla riforma del codice civile d’impronta napoleonica, la pressione fiscale in costante aumento, l’abolizione degli usi civici e quindi dei tradizionali diritti comunitari di utilizzo dei beni furono fattori decisivi. Lo sviluppo manifatturiero italiano, in particolare settentrionale, a sua volta, si basava sulla presenza di una popolazione rurale abbondante e disponibile, pronta a prestare servizio in cambio di salari minimi.
Secondo i dati elaborati da Leone Carpi Leone Carpi (in Statistica illustrata della emigrazione all’estero del triennio 1874-76 nei suoi rapporti coi problemi economico-sociali), si rileva che la componente contadina è stata i quattro quinti del totale degli emigrati. Agricoltori e braccianti risultarono essere le figure dominanti per tutta la fase della grande emigrazione, con la quota largamente maggioritaria degli agricoltori che scese sotto il 50% solo a cavallo dei due secoli e perse progressivamente quota a favore dei braccianti, i quali da posizioni inferiori al 20% negli anni ‘80 arrivarono intorno al 1910 a rappresentare il 30% degli espatri, anno in cui superarono in quantità gli agricoltori.
Secondo l’analisi compiuta da Ercole Sori (L’emigrazione italiana dall’Unità alla seconda guerra mondiale, Bologna, il Mulino, 1979) i governi dei paesi di colonizzazione (in particolare dell’America Latina ma anche del Canada e del Sud Africa) erano fortemente interessati a importare manodopera dall’Europa per le economie agricole. A tal fine furono utilizzate varie strategie per poter tenere alta nelle società di partenza la convinzione di un roseo futuro per gli aspiranti coloni agricoli: l’elaborazione di ambiziosi piani pubblici e privati di colonizzazione agricola ma in realtà senza alcuna reale intenzione di realizzarli concretamente, la creazione di un piccola proprietà agricola dislocata nelle aree poco fertili e ai margini delle grandi colture, in modo da spingere le famiglie coloniche alla messa a disposizione di manodopera a basso costo, l’impiego di contratti agrari in cui era predominante la compartecipazione o forme di mezzadria, in cui l’illusione di maggiori possibilità per i coloni nascondeva una realtà ben più dura.