Il 3 novembre 1883 i muratori friulani impegnati nella costruzione del Semmering scesero ad Abbazia con mastro Giovanni Battista Franz di Moggio, al quale i tecnici austriaci della Sudbahn avevano concesso anche i primissimi lavori della nuova impresa.
di RADA ORESCANIN
La Panarie, rivista friulana d’arte e cultura, nacque nel febbraio del 1923, in concomitanza con la fusione delle province di Udine e Gorizia e la creazione, quindi, della grande provincia del Friuli, dopo le distruzioni prodotte dalla Grande Guerra, in un momento di ricostruzione non solo economica ma anche culturale e sociale, negli anni Venti, per volontà di Chino Ermacora, che ne fu il fondatore assieme ad Arturo Feruglio e Giovanni Pellis.
Nei vecchi numeri delle rivista sono raccolte testimonianze culturali importanti, che fanno riferimento all’Istria e alla Dalmazia, attuale Croazia. Gli articoli de La Panarie, nel periodo intorno agli anni Trenta, cercano di avvicinare e glorificare l’architettura, l’arte e le bellezze delle diverse città istriane e dalmate, dando una descrizione precisa e ricercando collegamenti con la cultura romana e veneziana.
Il viaggio attraverso i diversi periodi (dal romanico al gotico, dal rinascimento al barocco, dal rococò all’impero) viene realizzato attraverso una continua visita di chiese, palazzi e persino di case modeste. I numerosi monumenti descritti ci narrano, con tacita eloquenza, il passato, le vestigia di edifici sacri e profani tuttora esistenti e la ricchezza di suppellettili religiose, attestando l’opulenza in tempi lontani e vicini.

CARTOLINE. Dalle cartoline storiche della raccolta di Mario Salvalaggio, che appaiono sopra e qui di seguito, emerge il fascino di Abbazia fra Ottocento e Novecento. La città venne chiamata “la Nizza dell’Adriatico”.
Un dettagliato articolo di Lodovico Zanini, “Il Canto d’Abbazia”, sul La Panarie nel 1931, descrive le bellezze naturali ed artistiche di Abbazia, uno dei più noti luoghi turistici istriani: “Scendere ad Abbazia, infatti, è fare un tuffo in un mondo di bellezze offerte, in festosa concorrenza, dalla natura e dall’arte; alberghi e ritrovi qui promettono ogni sorta di agi, contornati come sono di frescure deliziose, con balconi e terrazze affacciati sul golfo; viali fioriti e passeggi ombrosi sono luoghi di ozi eleganti e di civetterie femminili e dovunque un’atmosfera di luce e di colori risuona di trilli che si avvertono come il ritmo d’una pace armoniosa ed accogliente.
Chi non conosce, dal resto, l’incanto del suo mare chiuso e raccolto come un vasto lago? E chi non serba il ricordo almeno di un giorno goduto nel suo clima che è mite in ogni stagione ed ha in ogni ora un suo fascino particolare?”
Non viene però dimenticata la musica, come d’altra parte suggerisce lo stesso titolo dell’articolo, “Il Canto di Abbazia”: “Villotte e canti friulani: cioè voci di un popolo operoso, attaccato alla sua tradizione e al suo focolare, canzoni d’amore, di speranza, di nostalgia, ma più ancora, forse, arie di tristezza sgorgante nell’indefinibile attesa d’una realtà troppo spesso sognata e non raggiunta”.

Proprio attraverso la musica viene rievocato l’antico legame con il Friuli: “Così la sera del 23 maggio i nostri amici, guidati dal fervore di Francesco Capello, offersero ad Abbazia una scelta di canzoni antiche e recenti, e insieme, una rievocazione del Friuli dei tempi andati e un saggio del rifiorente estro corale del Friuli odierno. L’uditorio ssentì preso e trasportato dall’arte dei nostri cantori, e apprezzò la purezza delle voci, la forza e la grazia del perfetto accordo. E noi pensammo ch’era fortuna per essi cui la sorte ha concesso il confronto del canto; e fortuna anche per la Piccola Patria che i quattro cantori rappresentavano, in modo non già essenzialmente nuovo, ma essenzialmente distinto”.
La presenza italiana, naturalmente, non è solo nel canto di Abbazia ma anche nelle altre arti: “Sulle rive del Quarnero – vi è ancora oggi chi lo rammenta – i Friulani erano accorsi ancora cinquant’anni addietro, cioè fin da quando Federico Schüler, il direttore della Sudbahn, aveva deciso di far sorgere la città che poi fu detta “la Nizza dell’Adriatico”.

Il 3 novembre 1883 (ecco una data che interessa la storia di Abbazia e quella del Friuli migrante), reduci dal Semmering, dove avevano lavorato alla costruzione degli alberghi Semmering e Waldhof, i primi della stazione climatica famosa, i nostri muratori scesero ad Abbazia con mastro Giovanni Battista Franz di Moggio, al quale i tecnici della Sudbahn avevano concesso anche i primissimi lavori della nuova impresa”.
L’opera del mastro Giovanni Battista Franz di Moggio ancora una volta conferma la grande capacità artistica italiana. L’armonico rapporto con la natura viene esplicitato attraverso il gioco dei colori, i monumenti, la poesia: “Egli infatti ideò i suoi progetti come un pittore concepisce il suo quadro; e le sue costruzioni sorsero d’un bello e corretto stile nostrano, in piena armonia con la natura, aliene dalle stravaganze che sogliono deturpare i luoghi di gran moda. Ed è molto interessante udirlo parlare dei concetti che lo guidarono nel comporre il gioco delle ombre e delle luci, nell’uso della pietra nei partiti monumentali, nella ricerca sapiente delle dissonanze; nella sua opera, insomma, ch’egli condusse con animo di poeta, senza l’ostentazione di forme, senza smanie di novità, per il suo grande amore al luogo, che lo renderà disposto sempre, per salvare anche un solo albero, a deviare un muro e a modificare un progetto”.
